Venuta in Italia

 

 

 

Quando Bruno obbedì alla chiamata del Papa, previde che la sua giovane comunità di Certosa avrebbe sofferto molto dell'allontanamento del suo Padre e fondatore. E così fu. I suoi figli, reputando di non poter continuare senza di lui la vita che con lui avevano abbracciata, si dispersero. 

Bruno da Roma riuscì tuttavia a convincerli a riprendere la “via del deserto” e sotto la direzione di Landuino, da lui indicato come superiore, il gruppo si riunì di nuovo nell’eremo abbandonato. Ma l'anima di Bruno, ormai abituata alla preghiera solitaria e al colloquio continuo con il Signore, non si trovò a suo agio nell'ambiente della corte pontificia dell'epoca; ancor meno nelle distrazioni provocate dai suoi compiti. Da qui la grande nostalgia di Bruno per il suo deserto silenzioso.

Accadde poi che Urbano II dovette fuggire da Roma, poiché l'Imperatore tedesco Enrico IV e l'antipapa Guiberto - noto sotto il nome di Clemente III - avevano invaso i territori pontifici. Bruno si trasferì con la corte papale e venne così nell'Italia meridionale. Su proposta del Papa Urbano i canonici di Reggio Calabria l'elessero arcivescovo. Egli declinò la mitra per amore della sua vocazione contemplativa e con il desiderio di ritrovare al più presto la solitudine e il silenzio che il suo cuore bramava. Poi ottenne il permesso di ritirarsi in solitudine negli stati normanni recentemente conquistati dal conte Ruggero d'Altavilla. Bruno ritrovava finalmente la sua cara solitudine con Dio e la purezza del suo colloquio con Lui.

Il generoso conte Ruggero gli offrì un territorio nella località chiamata Torre, a circa 850 metri di altitudine, nel cuore della Calabria «Ulteriore», l’attuale Calabria centro-meridionale.

Ivi Bruno fondò l'eremo di Santa Maria, mentre a poco meno di 2 km più a valle - ove sorge l'attuale certosa - fondava per i fratelli conversi il monastero di Santo Stefano.