Una vita solitaria |
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Separazione
dal mondo
I
primi monaci certosini «seguivano il lume dell'oriente, ossia di quegli antichi
monaci che, ardenti d'amore per il ricordo del Sangue del Signore versato di
recente, popolarono i deserti per professarvi la vita solitaria e la povertà di
spirito. Bisogna quindi che i certosini, calcando le loro orme, dimorino come
loro in un eremo sufficientemente remoto dalle abitazioni degli uomini; ma
soprattutto bisogna che si rendano essi stessi estranei anche alle
preoccupazioni mondane». Secondo
la tradizione dei Padri del deserto la ricerca dell'unione con Dio, nel modo più
diretto possibile, richiede normalmente la separazione dal mondo. La pace
esteriore della solitudine protegge la pace interiore del cuore. Così il
monastero è costruito lontano da abitazioni, e ciascun monaco vive solo in
cella all'interno della cinta muraria, astenendosi da ogni ministero, escluso
quello della preghiera. Questo costituisce per il certosino un'esigenza che gli
Statuti esprimono con forza: «Essendo il nostro Ordine totalmente dedito alla
contemplazione, è necessario che conserviamo in modo assolutamente fedele la
nostra separazione dal mondo. Ci asteniamo perciò da qualsiasi ministero
pastorale, pur nell'urgente necessità di apostolato attivo, per adempiere nel
Corpo mistico di Cristo la nostra funzione specifica». Guigo,
il monaco a cui lo Spirito ha affidato la missione di redigere la prima regola
dei certosini, da parte sua ha celebrato al seguito di tutti i Padri le
ricchezze spirituali offerte al solitario: «Sapete infatti che nell'Antico e
soprattutto nel Nuovo Testamento quasi tutti i più grandi e profondi segreti
furono rivelati ai servi di Dio non nel tumulto delle folle, ma quando erano
soli. Gli stessi servi di Dio, tutte le volte che li accendeva il desiderio di
meditare più profondamente qualche verità o di pregare con maggiore libertà o
di liberarsi dalle cose terrene con l'estasi dello spirito, quasi sempre
evitavano gli ostacoli della moltitudine e ricercavano i vantaggi della
solitudine (…) considerate voi stessi quanto profitto spirituale nella
solitudine trassero i santi e venerabili padri Paolo, Antonio, Ilarione,
Benedetto e innumerevoli altri, e avrete la prova che nulla, più della
solitudine, può favorire la soavità della salmodia, l'applicazione alla
lettura, il fervore della preghiera, le penetranti meditazioni, l’estasi della
contemplazione e il dono delle lacrime».
Esodo
nel deserto
«Lasciare
il mondo per dedicarsi nella solitudine ad una preghiera più intensa, non è
altro che un particolare modo di esprimere il mistero pasquale di Cristo, che è
una morte per una resurrezione». La
Sacra Scrittura presenta l'Esodo attraverso il deserto come l'evento principale
della storia d'Israele. Sotto la guida di Mosè gli ebrei uscirono dall'Egitto;
e dopo aver attraversato il Mar Rosso, vissero quaranta anni nel deserto. Non
mancarono le prove, ma giunti nel cuore del deserto, al Sinai, Dio si manifestò
in modo straordinario e concluse con loro un'alleanza. I
Padri della Chiesa e tutti i monaci hanno visto nell'Esodo una prefigurazione
dell'itinerario mistico dell'uomo alla ricerca di Dio. Guigo
nel suo elogio della vita solitaria ha ricordato al certosino l'esempio dei
grandi contemplativi della Bibbia, che nella solitudine hanno vissuto il mistero
dell'incontro con Dio: Giacobbe, che lottò solo con l'Angelo e ricevette la
grazia di un nome migliore; Elia, che visse per lungo tempo nel burrone di un
torrente e marciò quaranta giorni e quaranta notti fino all'Oreb dove Dio si
manifestò a lui in una brezza leggera; Eliseo, che amava ritirarsi in preghiera
nella camera al piano superiore preparata dalla sunammita; e soprattutto
Giovanni Battista, che è considerato come il patrono degli eremiti. Lo
stesso Gesù ha cercato la solitudine: subito dopo il suo battesimo nel Giordano
fu condotto nel deserto dallo Spirito Santo; ed in molti episodi dei vangeli
lascia la folla e si ritira solo sulla montagna per pregare; un giorno invita i
suoi apostoli ad andare in disparte in un luogo solitario; infine solo sulla
croce, abbandonato da tutti, si offre al Padre per la salvezza del mondo. Il
monaco, seguendo Cristo nel deserto, partecipa al mistero che riconduce nel seno
del Padre il Figlio crocifisso e resuscitato dai morti. Nella solitudine egli
compie un vero Esodo spirituale, in cui dalla morte sgorga una nuova vita.
Solitudine della cella
La
clausura nel cui interno si pone il monastero è per il certosino il segno
visibile della sua separazione dal mondo. Al di fuori dello spaziamento
settimanale il monaco non è autorizzato a uscire dalla casa, salvo in rari casi
e per una reale necessità. Lo stesso priore della Gran Certosa, pur essendo
superiore generale dell'Ordine, non oltrepassa mai i limiti del suo deserto. Tuttavia
è soprattutto nel segreto della loro cella che i padri vivono la loro vocazione
di solitari; mentre i fratelli la vivono in parte nella cella e in parte nelle
obbedienze dove essi lavorano. Ciascuno ha così la sua propria solitudine nel
seno di un monastero, che è esso stesso solitario. Gli
Statuti ricordano a tutti che la cella è un luogo privilegiato di unione con
Dio: «Il nostro impegno e la nostra vocazione consistono principalmente nel
dedicarci al silenzio e alla solitudine della cella. Questa è infatti la terra
santa e il luogo dove il Signore e il suo servo conversano spesso insieme, come
un amico col suo amico. In essa frequentemente l'anima fedele viene unita al
Verbo di Dio, la sposa è congiunta allo Sposo, le cose celesti si associano
alle terrene, le divine alle umane». Anche le obbedienze di lavoro sono
separate le une dalle altre come le celle, e sono organizzate affinché si
salvaguardi il più possibile la solitudine. In tal modo la solitudine è
adeguata alla situazione di ognuno. I
Padri del deserto hanno celebrato a gara i benefici della fedeltà alla cella,
dove il solitario, secondo un'immagine usata da loro e ripresa dagli Statuti
Certosini, si trova come un pesce nell'acqua. Guglielmo di Saint-Thierry scrisse
ai certosini di Mont-Dieu: «la cella non deve esser mai una reclusione forzata
ma una dimora di pace; la porta chiusa non nascondiglio ma ritiro. Colui con il
quale Dio è, infatti, non è mai meno solo di quando è solo. Allora infatti
gode liberamente della propria gioia; allora egli stesso è suo per godere di sé
e di sé in Dio».
Il
silenzio
Silenzio
e solitudine vanno di pari passo, poiché il primo protegge la solitudine
interiore e favorisce il raccoglimento: «Solamente colui che ascolta nel
silenzio percepisce il mormorio del vento leggero che manifesta il Signore». I
certosini sono dei fratelli che vivono fianco a fianco nel silenzio, rispettando
reciprocamente il loro colloquio interiore con Dio. Grande è la virtù del
silenzio. «Benché nei primi tempi tacere possa essere una fatica,
gradualmente, se saremo stati fedeli, dallo stesso nostro silenzio nascerà in
noi l’attrattiva verso un silenzio ancora maggiore». L'incontro dell'anima
con Dio avviene al di là di ogni discorso, in un semplice scambio di sguardi:
linguaggio dell'amore che non è altro che il linguaggio dell'eternità. «Noi riconosceremo la qualità della parola divina, quando consacreremo il tempo in cui non abbiamo da parlare ad un silenzio privo di preoccupazioni e accompagnato da un'ardente ricordo di Dio». Vi è infatti un silenzio interiore che è ben più difficile della semplice assenza di parole. Esso consiste nel distaccarsi da pensieri erranti che penetrano nel cuore attraverso l'immaginazione. I Padri del deserto a questo riguardo mettevano i loro discepoli in guardia, e cercavano al di sopra di tutto la purezza di cuore, ossia l'amore di Dio preferito ad ogni altra cosa. Come scrisse uno di essi, Cassiano: «In vista dunque della purezza di cuore tutto deve essere compiuto e inteso da noi. Per essa deve essere cercata la solitudine.... Pertanto le virtù che vi si accompagnano, e cioè i digiuni, le veglie, la solitudine, la meditazione delle Scritture, ci conviene esercitarle in vista dello scopo principale, vale a dire della purezza di cuore, che è la carità». |