Una vita contemplativa |
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Le
parole di San Bruno
«Quanta
utilità e gioia divina rechino la solitudine e il silenzio dell'eremo a coloro
che li amano, lo sanno solamente quelli che ne hanno fatto esperienza. Qui,
infatti, agli uomini forti è consentito raccogliersi quanto desiderano e
restare con se stessi, coltivare assiduamente i germogli delle virtù e
nutrirsi, felicemente, dei frutti del paradiso. Qui si conquista quell'occhio il
cui sereno sguardo ferisce d'amore lo Sposo, e per mezzo della cui trasparenza e
purezza si vede Dio. Qui si pratica un ozio laborioso e si riposa in un'azione
quieta. Qui, per la fatica del combattimento, Dio dona ai suoi atleti la
ricompensa desiderata, cioè la pace che
il mondo ignora, e la gioia nello
Spirito Santo. Che
cosa è tanto giusto e tanto utile, e che cosa così insito e conveniente alla
natura umana quanto l'amare il bene? E che cosa altro è tanto bene quanto Dio?
Anzi, che cosa altro è bene se non solo Dio? Perciò l'anima santa, che, di
questo bene, in parte percepisce l'incomparabile dignità, splendore e bellezza,
accesa dalla fiamma d'amore dice: L'anima
mia ha sete del Dio forte e vivo; quando verrò e mi presenterò davanti al
volto di Dio?». Così
si esprimeva Bruno, il primo certosino. Parole folgoranti che, per tutti coloro
di cui è il padre, tratteggiano e illuminano il cammino della contemplazione;
ma anche parole disincantate, visto che non fanno che aprire l'orizzonte su un
mistero insondabile e ineffabile. Ciò che è chiesto è di procedere sempre più
lontano, sempre più in alto, sempre più in profondità. Trasformazione dell'uomo
Impiantato
nel terreno della certosa, l'uomo, umile seme, pesantezza più che grazia, ombra
più che luce, quando non sia dura pietra, ossa inaridite, sepolcro imbiancato,
si trova a poco a poco ricreato, restaurato ad immagine e somiglianza del suo
Creatore e Salvatore. Non solo guarito interiormente e purificato, per giungere
nella verità allo stato di uomo perfetto, nella pienezza della statura di
Cristo; non solo radicato in un'esperienza di morte e resurrezione, di offerta
nella preghiera, di esistenza eucaristica, perché il mondo abbia la vita; ma
ancor più spiritualizzato e divinizzato nell'intimo dell'anima e del corpo, per
essere pura offerta totalmente gratuita all'immensità dell'amore. Di
fronte ad una tale misura, come non riascoltare le parole di colei che per
prima, per la sua umiltà, ha ricevuto l'annunzio? «Com'è
possibile?» Umiltà
nel constatare che niente di umano è proporzionato a questo dono, non
certamente per conquistarlo, ma neanche solo per accoglierlo. «Tesoro
in vasi di creta». Il segreto della contemplazione non sta forse nel
riconoscere dapprima la nostra povertà, e poi di abbandonarci nelle mani del
nostro Padre? Poiché tutto viene da Lui e per mezzo di Lui, la nostra sola
opera sarà di credere, di avere fiducia nella sua smisurata tenerezza, di
renderci disponibili perché realizzi nel più intimo del nostro essere il suo
disegno d'amore. Egli attende soltanto che liberiamo il cuore da tutto ciò che
non è Lui, per versarvi i torrenti della sua vita divina. Il
Cristo
Gesù
Cristo è «la via, la verità e la vita».Nessuno va al Padre senza passare
attraverso di Lui, poiché «non vi è altro nome dato agli uomini sotto il
cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati». Di fatto la Parola
che ha spiegato i cieli si è come nascosta nella carne di un popolo, fino a
farsi essa stessa carne, per abitare in mezzo a noi. «Ciò che noi abbiamo
veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre
mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita, questo vi annunziamo!». Il
Figlio nella sua carne ci rivela il Padre e fa di noi dei figli. «Hai
tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai
piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te». Più
noi siamo uniti a Cristo per mezzo della forza dei sacramenti e della fedeltà
nella preghiera, e più, per Lui, con Lui ed in Lui, penetriamo nell'intimità
del Padre. Ascolto
nel silenzio
Per
disporsi ad un tale incontro niente è più importante di rimanere nell'ascolto.
Divenire silenzio nell'ascolto del silenzio, al fine di percepire nel cuore di
esso la voce dell'amato. «Dio
conduce il suo servo nella solitudine per parlargli al cuore, ma solamente colui
che ascolta nel silenzio percepisce il mormorio del vento leggero che manifesta
il Signore. Abbia dunque familiare quel tranquillo ascolto del cuore che lascia
entrare Dio da tutte le porte e da tutte le vie. Così, purificato dalla
pazienza, consolato e nutrito dall'assidua meditazione delle Scritture, e
introdotto dalla grazia dello Spirito nelle profondità del suo cuore, il monaco
diverrà capace non solo di servire Dio, ma di aderire a lui». Mistero
di ascolto, mistero di fede, mistero dello Spirito. Lui che condusse Gesù nel
deserto e lo fece esultare di gioia, Lui per il quale l'amore di Dio è stato
versato nei nostri cuori, e viene in soccorso della nostra debolezza perché non
sappiamo come pregare, e ci insegna a dire: «Abbà! Padre!». Purificato,
vivificato, fortificato per mezzo dell'amore di Cristo, rianimato, sospinto dal
soffio dello Spirito, abbracciato nel desiderio dal Padre.... il monaco
solitario entra in comunione con il Dio tre volte santo, partecipa allo scambio
ineffabile di conoscenza e di amore che è la vita delle persone divine nella
Trinità. Tutta la sua esistenza non diventa altro che stupore davanti alla
bellezza infinita, immutabile e trascendente di Dio nell'immensità del suo
amore. Semplicità
Desiderare,
contemplare, accostare il Dio tre volte santo, eterno ed insondabile, richiede
una perseveranza a tutta prova, che non dispensa assolutamente dall'invocare il
Signore della tenerezza e della misericordia. Di fatto per vivere negli anni
un'esistenza fondata sulla sola contemplazione è necessario che questa vita sia
improntata ad una grande semplicità. Lontano
da ogni genere di complessità, di molteplicità e di dispersione, il solitario
si attiene con forza all' «unico necessario». Egli ordina con equilibrio ed
armonia tutte le cose all'unione con Dio, applicandosi serenamente al compito di
ogni momento. L'alternanza di vita solitaria in cella e di vita comunitaria, di
preghiera personale e liturgica, di studio e di lavoro manuale, come anche la
differenza tra la sobrietà quotidiana e la letizia dei giorni di festa, lungi
dall'essere fonte di dispersione, fanno della vita certosina un insieme
sapientemente costruito, dove ogni elemento riceve piena forza e valore solo se
visto nella totalità. Con
un cuore semplice e uno spirito purificato, il monaco si sforza di fissare in
Dio i suoi pensieri e le sue emozioni, al fine di divenire una dimora tranquilla
dello Spirito, un tempio abitato dalla Maestà divina, alla quale tutto si
consacra con amore. La
stessa esortazione si traduce concretamente in qualche consiglio pratico; come
quelli dati dal certosino Lanspergio: «Dimora assiduamente nel tuo santuario
interiore. Non ti dare a nessuna cosa con eccesso, contentati del semplice uso
delle cose presenti, di cui devi occuparti quando questo è necessario, senza
attaccarvi il tuo cuore. Rimetti poi a Dio ogni evento, triste o gioioso, stai
senza molteplicità, affinché anche Dio stia a te presente. Non vagabondare di
qua e di là. Ritorna senza sosta alla solitudine, alla conversazione interiore.
Colui che tu cerchi sia il tuo pensiero continuo, e se ti capita di patire,
continua il tuo cammino. Ritorna così sempre nell'interiorità dove la Verità
stessa è presente. Farai in modo di non arrivare mai al ribollire inconsistente
delle parole. Custodisci dunque il silenzio, dimora nella pace, sopporta tutto,
abbi fiducia in Dio, fa ciò che è nelle tue possibilità, e presto riceverai
una luce meravigliosa per conoscere le strade così perfette della vita
interiore». «In
cella - dicono gli Statuti - la nostra attività scaturisca sempre come da una
sorgente interiore, sull'esempio di Cristo, che opera sempre con il Padre, di
modo che il Padre, dimorando in lui, compia egli stesso le opere. Così
seguiremo Gesù nella sua umile e nascosta vita di Nazaret, sia pregando il
Padre nel segreto, sia lavorando al suo cospetto in spirito di obbedienza». Pace
e gioia
Consacrare
tutta la propria vita a Dio nella contemplazione è sorgente di pace e di gioia
sempre nuove. Tale è stata l'esperienza di San Bruno, che, secondo la
testimonianza dei suoi figli, aveva sempre il viso in festa. Nella sua lettera
alla comunità della Certosa egli apre la sua anima traboccante di gioia e
invita i suoi fratelli ad unirsi al suo canto di esultanza: «Veramente
esulto e mi sento portato a lodare il Signore..... Gioite dunque, fratelli miei
carissimi, per la felicità che avete avuto in sorte e per l'abbondanza della
grazia di Dio verso di voi. Gioite, poiché siete sfuggiti ai molteplici
pericoli e naufragi di questo mondo sballottato dalle onde. Gioite, poiché
avete guadagnato il tranquillo e sicuro rifugio di un porto ben riparato». Guigo,
da parte sua, scrive ad un amico: «è
veramente beato colui che sceglie di vivere umile e povero nel deserto, che ama
meditare con applicazione nel riposo, e desidera dimorare così solitario nel
silenzio..... La vita povera e solitaria, dura nel suo principio, facile nel suo
corso, diviene celeste nel suo termine». Coloro
a cui capita di incontrare dei certosini restano generalmente impressionati da
questa nota caratteristica della vita certosina. Un pellegrino giunto alla Gran
Certosa nel 1785 annota: «tutto mi ha dato un piacere profondo e calmo. Le
agitazioni umane non salgono affatto lassù. Ciò che non dimenticherò mai è
la contentezza celeste visibilmente dipinta sui volti di quei religiosi. Il
mondo non ha idea di questa pace.... La si avverte, ma non si può definirla
questa pace che voi guadagnate». Dieci
secoli più tardi gli fanno eco le parole del papa Giovanni Paolo II durante la
visita qui a Serra: «dai vostri volti si vede come Dio doni la pace e la gioia
dello Spirito Santo, come mercede a chi ha abbandonato ogni cosa per vivere solo
di Lui e cantare in eterno il suo amore... Nella pace e nel silenzio del
monastero si trova la gioia di lodare Dio, di vivere di Lui, in Lui e per Lui». Il
riposo contemplativo
Il
riposo, tanto bramato da Bruno e Guigo, è ben distinto dal sonno e dal
rilassamento come la vita contemplativa lo è dall'inerzia e dalla comodità. Esychia
per i greci, quies per i latini, il
riposo contemplativo è come la parola d'ordine di tutti i cercatori di Dio, dai
Padri del deserto via via fino ad attraversare tutto il monachesimo. Questa
quiete è ogni volta condizione e risultato dell'unione con Dio nella
contemplazione: rifiuto di idee vaganti e di fantasie, assenza di pensieri e
preoccupazioni.... serenità, tranquillità interiore, pace del cuore.... quella
pace di cui il Cristo risuscitato era pervaso e che lasciò ai suoi amici. Un
maestro spirituale del sec. XI ha lasciato questa testimonianza: «ci sono molti
modi di contemplazione in cui l'anima pia si diletta in te, o Cristo. Ma in
nessuno di essi l'anima mia si diletta più di quello in cui, abbandonate tutte
le cose, essa porta verso di Te, Dio solo, lo sguardo semplice di un cuore puro.
Quale pace, quale riposo, quale gioia gusta allora l'anima applicata a Te!....
Quando essa medita e ripete la tua gloria, il tumulto dei pensieri cessa, tutto
tace, tutto è tranquillo: il cuore è ardente, lo spirito nella gioia, la
memoria vigilante, l'intelligenza luminosa, e tutto lo spirito infiammato dal
desiderio della visione della tua bellezza si vede trasportato nell'amore delle
realtà invisibili». La
quies è il coronamento del cammino
del monaco che si sforza di vivere nella fedeltà la sua ricerca di Dio. Allora
«L'anima del monaco sarà come un lago tranquillo le cui acque, scaturendo
dalla purissima fonte dello spirito e non essendo agitate dall’ascolto di
nessun rumore venuto dall’esterno, riflettono, quale nitido specchio, la sola
immagine di Cristo». |