I giovani e la Certosa 

 

 

 

I certosini, a partire dal loro fondatore, non hanno mai cercato di creare a tutti i costi consensi riguardo alla loro scelta. Non cercano il plauso e il riconoscimento di autorità o della gente, semplicemente seguono una via, tracciata da altri prima di loro, nella ricerca dell’essenziale. Basti pensare che la vocazione di ognuno di loro nasce, nella maggior parte dei casi, tra sconcerto, meraviglia, e spesso incomprensione degli altri.

Tuttavia è accattivante penetrare per un momento nello sguardo di chi osserva la Certosa dall’esterno, perché può aiutare a cogliere interessanti, quanto insospettabili, riscontri. In particolare se si parte da come i giovani vedono la vita certosina. Infatti sono essi a porsi  generalmente in una posizione più attenta, e a volte anche più critica, perché sono curiosi di capire, e perché vogliono aver chiaro il significato di quello che incrociano sul loro cammino. Il loro sguardo è più intuitivo e schietto, rispetto a quello più cristallizzato degli adulti.

Bisogna ammettere al contempo che in questo mondo ‘globalizzato’, i giovani, che si somigliano sempre di più in ogni parte del mondo, sono bombardati da così tanti stimoli, che è difficile vederli stupiti per qualcosa. È per questo motivo che, per esempio, la filmografia ha imboccato la pessima via di effetti speciali sempre più esagerati, con il pericoloso effetto di abbassare ancor di più la soglia dell’attenzione, con il risultato artistico di esaltare il virtuale e sottovalutare ciò che è veramente umano.

Eppure quando i giovani si trovano davanti alle mura di una certosa non riescono a rimanere indifferenti: il sapere che lì dentro c’è qualcuno che ha scelto il silenzio e la solitudine, in una scelta di vita di assoluta e disarmante semplicità, li colpisce. Allora non esprimono, come fanno più spesso gli adulti, giudizi frettolosi che promuovono o bocciano quella scelta (spesso facendosi solo portavoce di alcuni banali luoghi comuni), ma si pongono degli interrogativi, che, pur manifestando sensazioni e sentimenti a volte contrapposti, almeno esprimono l’apertura ad una fondamentale dimensione di ricerca.

Non è un caso che la prima cosa che un giovane dice, o vorrebbe dire ad un certosino, è un semplice: “perché?”. Nuda parola che in verità racchiude tantissime sfumature, che, in ognuno di loro, vanno a manifestare diversi atteggiamenti sottostanti: dal rifiuto di fondo, alla difficoltà a capire, per passare magari attraverso un certo timore reverenziale, oppure un pacato senso di tolleranza, o un vero desiderio di conoscenza, o anche una schietta simpatia, o una qualche strana e indecifrabile paura, oppure la percezione del Mistero, che per qualcuno degrada in quella nota di arcano e misterioso (… altro frutto dei suddetti effetti speciali), o altri sentimenti e pensieri, che è impossibile voler definire in modo esaustivo.

In ogni caso la cosa ineccepibile è che si tratta di una domanda, e più precisamente di una domanda di senso. E per questo, pur partendo (come tutte le domande che si rispettino) da una propria parziale convinzione, sensazione o intuizione, non si chiude su sé stessa, ma va a porre una possibile base di confronto, in cui l’altro non è mortificato, ma valorizzato e considerato, anche nella sua diversità, e proprio per la sua diversità.

In quel perché si condensa dunque il cammino di chi sta cercando punti di riferimento per la propria vita, e trova nei certosini e nella certosa un cuneo che rompe tanti schemi di un mondo secolarizzato e materiale, che non riesce a leggere e capire più la scelta monastica come scelta umana e di fede, e la “liquida” frettolosamente in un ambito marginale, tradizionale e superato. I giovani invece si interrogano e si lasciano interrogare da questa esperienza. Ed il fatto che siano “costretti” a pensare è comunque positivo,  al di là di tutti gli esiti e contributi possibili a livello esistenziale. Per molti infatti resterà fatto episodico, e la domanda che era emersa tornerà ad essere diluita nella confusione delle molteplici voci del quotidiano, ma per tanti rimarrà nella mente e nel cuore come pungolo di una esistenza diversa e semplice, in un confronto che emerge in modo spontaneo e non calcolato, in quei momenti in cui la vita ‘normale’, mostra loro le sue immancabili e profonde contraddizioni e incongruenze.

Che poi questa domanda di senso dei giovani sia autentica, e mai del tutto superficiale (anche quando è posta distrattamente), lo prova il fatto che comunque si registra in mezzo a loro un’insopprimibile bisogno di spiritualità. E se questo bisogno si traduce spesso in forme a volte inaspettate, e perfino paradossali (basti pensare per esempio all’esoterismo), resta comunque come filo interiore, che di fronte ad esperienze vere e positive, sa coglierne il fascino e la bellezza.

Ma l’incontro dei giovani con la Certosa, oltre alla prima domanda sul perché, ne richiama spontaneamente, quasi sempre, un’altra accanto ad essa, che possiamo sintetizzare così: “a che serve?”.

Bisogna stare attenti a non leggere subito in essa la necessaria conseguenza di un’imperversante mentalità utilitaristica, in cui ha senso solo ciò che è immediatamente utile. Oppure il frutto dello spirito irriverente e contestatario dei giovani di oggi. Questi purtroppo sono atteggiamenti reali del nostro tempo, che funzionano più o meno inconsciamente, fino a diventare stile, e che certamente non possono essere sorvolati o minimizzati.

Si può però notare che colui che  si pone in quei termini, di fatto, nella maggior parte dei casi non accetta repliche, o le impedisce, oppure non le ascolta. Se invece, come si può verificare concretamente, alla domanda  segue l’attesa di una risposta, allora forse ci troviamo di fronte ad un dato più profondo, che potrebbe essere generato da un atteggiamento positivo del nostro tempo, che va valorizzato, anche quando si presenta intrecciato con quelli negativi su accennati. Si avverte infatti tra i giovani una sete di verità, non teorica ed astratta, non verbosa e giudicante, ma capace di fornire segni, opere, che la rendano evidente, e ne manifestino l’autenticità (La stessa tensione che attraversa la teologia del vangelo e delle lettere di Giovanni!!). I giovani, giustamente, cercano persone che testimoniano questa verità, e non semplicemente banditori di essa: è per questo che persone come Giovanni Paolo II o Madre Teresa di Calcutta li hanno attratti, e li attraggono ancora di più adesso, dopo la loro morte.

Con questa ulteriore domanda vogliono accertarsi che i certosini non siano persone che stanno fuggendo il mondo per un’egoistica e isolata realizzazione di pace. Vogliono comprendere il sacrificio d’amore che questa scelta impone, e il prezzo della solitudine e del silenzio, e quando questo diventa chiaro, sanno rispettarli profondamente e guardarli con stima, e perfino venerazione.

Bisogna poi tener presente che solitudine e silenzio, ingredienti principali della vita certosina, sono in gran parte estranei al loro mondo, e dunque avvertiti con una certa paura. I giovani devono intravedere, che non sono la negazione dell’amore, ma la conferma di esso nell’umile e non rumorosa offerta di se, allora sanno anche apprezzarne il valore, a volte portando nel cuore il desiderio sincero di ritrovarne qualche frammento anche nella loro stessa vita.

Ma c’è una cosa che i giovani non sanno, e non immaginano neppure! E cioè che le loro domande, sono proprio quelle che ogni certosino rivolge instancabilmente e costantemente a se stesso…. e a Dio! Perché la risposta ad esse di tipo intellettualistico non è sufficiente a dare un fondamento ad un a scelta di vita, e, soprattutto, non si può dare una volta per tutte. Essa è invece di tipo esistenziale, e si va definendo giorno dopo giorno, riconoscendone i segni nel proprio vissuto: ogni giorno il certosino deve domandarsi quale senso, ossia quale direzione, sta dando allo scorrere delle sue azioni e dei suoi pensieri,ed ogni giorno deve domandarsi con umiltà se la consistenza di quei pensieri e azioni è reale, o apparente. Questa sua opera durerà quanto dura la sua vita, e così si ritrova molto più vicino ai giovani di quanto si possa immaginare: perché condivide con essi (e può perfino ricordare ad essi) una vita dove l’oggi non dovrebbe mai essere la pura ripetizione di ieri, ma piuttosto la paziente ricerca di un amore più grande all’ombra del più grande Amore.

(Don Michele Fortino)