Il rosario e i certosni
|
|
|
|
LA PREGHIERA DEL ROSARIO E I CERTOSINI È nota a tutti la leggenda dell’apparizione a san Domenico della Vergine che gli avrebbe insegnato la preghiera del Rosario facendone l’apostolo. Splendida storia, ma nessuno dei documenti primitivi dell’Ordine Domenicano ne parla, nemmeno i sette primi biografi del santo, o i numerosi testimoni venuti a deporre al suo processo di canonizzazione aperto nel 1233. La leggenda effettivamente comparirà solo diversi secoli dopo. È possibile tentare di tracciare una storia del Rosario? La preghiera dell’Ave Maria Innanzitutto va esaminata la storia dell’Ave Maria. Se l’uso di unire il saluto di Elisabetta a quello dell’Angelo è molto antico[1], la seconda parte di questa preghiera è molto più recente. Ed è proprio nell’Ordine dei certosini che appare, prima di essere diffusa in tutta la Chiesa. In effetti, la domanda: "Sancta Maria, ora pro nobis" ("Santa Maria prega per noi") apparve per la prima volta in un breviario certosino del 13o sec. Nel secolo seguente, ancora in breviari certosini, la formula si sviluppa in: "Ora pro nobis peccatoribus. Amen" ("Prega per noi peccatori. Amen"), con talvolta la menzione "Mater Dei" ("Madre di Dio") dopo Maria. Infine, verso il 1350, apparve, sempre in un breviario certosino: "Nunc et in hora mortis. Amen." ("Adesso e nell’ora della [nostra] morte. Amen.")[2]. La struttura del rosario All’origine, l’uso di recitare 150 volte i due saluti alla Vergine permetteva alle persone illetterate di sostituire la recita dei 150 salmi. Poi una corrente devozionale che aspirava a dire i due saluti con maggiore raccoglimento, fece ridurre questo ‘Salterio di Maria’ (la cui pratica è attestata soprattutto nei paesi renano-fiamminghi) in un ‘rosario’ che conservava solo 50 recitazioni. Ma quando intervenne l’uso di unire la preghiera del Padre Nostro ai saluti della Vergine? Verso la metà del 14° sec. Un monaco della certosa di Colonia, Dom Enrico Kalkar, introdusse nel ‘Salterio di Maria’, la recita di un Pater Noster prima di ogni serie di dieci Ave Maria[3]. Il priore della certosa di Londra, essendo venuto a conoscenza di questo nuovo uso, lo adottò subito e da lì si diffuse rapidamente in tutta l’Inghilterra e poi nel Continente[4]. I misteri del rosario IL ROSARIO CERTOSINO
Come recitare il Rosario certosino?La persistenza del Rosario certosino nel tempoAnche dopo la comparsa del "Rosario domenicano" che si è ispirato ad esso (e nel quale ha dunque sempre ‘sopravvissuto’), la pratica del Rosario certosino così com’è, non è mai scomparsa completamente nel popolo cristiano. Continuò ad essere tenuta in onore fino al XVII° secolo, e lodata da santi uomini (in particolare il benedettino Louis de Blois), e fu utilizzata nei dintorni di Trèves fino ai nostri giorni. La sua pratica si è ridotta soprattutto per le indulgenze concesse dai papi al "Rosario domenicano". Ma anche il Rosario domenicano, in alcune regioni della Germania e della Svizzera, si evolse e vi si aggiunsero, dopo il nome di Gesù, delle clausole che ricordavano quelle di Domenico di Prussia; a questo tipo di Rosario, in uso anche oggi, furono riconosciute le stesse indulgenze per mezzo di un decreto della Santa Sede datato 21 gennaio 1921. È questa pratica che fu ricordata da Paolo VI nel Marialis cultus e, fondandosi su questo documento, è quella che il papa Giovanni-Paolo II propone di estendere.
Alcune proposteAll’origine la recita dell’Ave Maria terminava subito dopo la clausola (seguita dunque dall’Amen e poi dall’Alleluia), non essendo ancora universalmente utilizzata la seconda parte, anche presso i certosini dove pur trovò l’origine. Concludendosi dunque sempre sul mistero di Cristo, poneva così l’accento sulla dimensione cristologica della preghiera, essendo il ruolo di Maria quello di condurre a suo Figlio. Niente vieta di fare così anche oggi. L’Alleluia detto dopo l’Amen può essere seguito da un breve spazio di silenzio dedicato alla meditazione ed alla contemplazione del mistero. Valore ecumenico del Rosario certosino originale Non si può fare a meno di sottolinerare il valore ecumenico del Rosario certosino delle origini. Il testo primitivo del saluto alla Vergine essendo tratto dalla Parola di Dio, può effettivamente accomunare anche i fratelli e le sorelle protestanti (cfr. il documento del Gruppo di Dombes su "la Vergine Maria nella storia della salvezza"), e le clausole che tracciano la vita di Cristo danno a questa preghiera un aspetto cristocentrico che conviene perfettamente alla loro spiritualità. Abbiamo già menzionato anche l’armonia esistente tra il Rosario certosino e "l’inno acatisto" tanto caro ai cristiani d’oriente, per mezzo dell’introduzione dell’Alleluia dopo ogni clausola. Seconda parte dell’Ave Maria Per chi sceglie di tornare alla forma originale del Rosario certosino, ma desidera conservare anche la seconda parte dell’Ave Maria, un metodo semplice è di recitarla prima di ogni Gloria che conclude le decine.
[1] Già attestata nella liturgia verso l’anno 600, con l’offertorio della 4a domenica d’Avvento. [2] L’introduzione del nome di ‘Gesù’ alla fine della prima parte è tradizionalmente attribuita a Urbano IV; ma quest’attribuzione è tardiva. [3] Secondo i documenti dell’epoca, ciò avrebbe fatto seguito ad un’apparizione della Vergine Maria che gli indicò lei stessa questa pratica. [4] L’introduzione del Gloria è più tardiva, ed è nata nell’Ordine Domenicano. [5] Si ignorano i rapporti che ci sono stati tra i cistercensi e i certosini dell’epoca. I documenti dicono che Domenico di Prussia ignorava completamente questo metodo, e che ne avrebbe avuto l’idea sotto ispirazione divina. [6] Rivelata solo dagli scritti trovati nella sua cella dopo la sua morte (1439). [7] Bisogna attendere il Papa Giovanni Paolo II e la sua lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae perché venissero reintrodotti con i cinque nuovi ‘misteri della luce’. |