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Letture della preghiera notturna dei certosini

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Anno A

Tempo Ordinario

Sesta Settimana

 

63

 

Dal Commento sul profeta lsaia di san Cirillo d'Alessandria.

In Isaiam,lib.V,2. PG 70,12,29‑1232.

 

Gli Israeliti pensavano di non poter lavare le sozzure dei loro vizi e dicevano: Come vivremo? Dio rispose: Voi siete uomini, io sono Dio.

Dunque, immensa è la distanza, e le cose che sono di Dio non sopportano paragoni o confronti di alcun genere. L'Altissimo vince infatti per la forza, per la gloria, per la clemenza: non c'e nulla nella natura che possa eguagliare la sua grandezza o anche soltanto avvicinarsi ad essa.

Gli uomini infatti sono soggetti all'ira: invece, della natura divina, superiore a tutti, e caratteristico il fatto dì non lasciarsi prendere dall'ira.

L'uomo è crudele e incline alla cattiveria: ma Dio è buono per natura, anzi è la stessa bontà. Perdonerà dunque come Dio e assolverà l'empio, dimenticando le cadute dovute a ignoranza e cancellando le brutture della colpa.

Aggiungi inoltre questo alla precedente riflessione: una volta gli uomini erano ignoranti e facilmente venivano trascinati verso il male e spinti a fare ciò che non è nemmeno lecito dire. Ma dopo che per mezzo della fede cercarono Dio e lo invocarono, abbandonando l'antica via e le cattive abitudini di vita, ottennero misericordia da Dio stesso. Furono come trasformati ad altra vita, divennero sapienti in quanto partecipi della sapienza, conoscitori di tutte le cose buone. Si liberarono dal giogo dell'antico errore; sconfissero il peccato e non furono più di animo volubile e leggero, ma saldo e forte, pronto a eseguire ciò che piace a Dio.

Perciò il profeta dice: Quando prometto, non diffidate, né pensate che io sia di animo mutevole. Infatti i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie.

 

 64

 

 Dal Commento sul profeta Isaia di san Cirillo d'Alessandria.

In Isaiam, Lib. V, 5. PG 70, 1352.

 

Cristo assunse la condizione di servo - egli, Signore dell'universo ‑ e annunziò la buona novella ai poveri, affermando che proprio per questo era stato mandato.

Per poveri si possono intendere quelli che soffrono nella totale indigenza, ma anche, come dice la Scrittura, tutti quelli che non posseggono la speranza e che nel mondo sono privi di Dio.

Arrivati a Cristo dal paganesimo, arricchiti dalla fede in lui, hanno conseguito un tesoro divino venuto dal cielo, la predicazione del vangelo della salvezza. In tal modo sono stati resi partecipi del regno dei cieli e consorti dei santi, eredi di quei beni che non si possono né immaginare né domandare: cose che occhio non vide, né orecchio udì., né mai entrarono in cuore d'uomo., queste ha preparato Dio per coloro che lo amano.

O forse qui s'intende che ai poveri in spirito è stato donato in Cristo abbondante ministero di carismi. Il Salvatore chiama coloro che hanno il cuore smarrito e l'animo debole e fiacco, quelli che sono incapaci di resistere agli assalti delle tentazioni, talmente soggetti alle passioni da sembrarne schiavi.

Ebbene, proprio a questi Cristo promette guarigione e aiuto, così come ai ciechi egli dona la vista. Infatti quelli che adorano una creatura e dicono a un pezzo di legno: Tu sei mio padre, e a una pietra: Tu mi hai generato,, certo non hanno conosciuto Dio. Cosa sono se non dei ciechi nel cuore, privi della luce divina per intendere? A costoro il Padre infonde la luce di una vera conoscenza di Dio.

Chiamati per mezzo della fede, lo hanno conosciuto; anzi, più ancora, sono stati conosciuti da lui. Mentre erano figli della notte e delle tenebre, son diventati figli della luce. Il giorno è spuntato a illuminarli, ed è sorto per loro il sole di giustizia; per loro si e levata lucente la stella del mattino.

 

 

65

 

 

Dalle Lettere di Barsanufio e Giovanni di Gaza.

Lettere 17 e 21. All'abate Giovanni.

 

Barsanuphe et Jean de Gaza. Correspondance. Solesme,1972,'23‑24.26‑27. ,

 

Fratello, ricorda che il Signore disse‑ aL suoi discepoli: Anche voi siete ancora senza intelletto?

Tu hai chiamato te stesso peccatore, ma nelle tue azioni non ti giudicavi così. Giacché colui che si considera peccatore e responsabile di mali, non contraddice nessuno; invece giudica tutti migliori di se stesso e più intelligenti.

Se i pensieri ti deridono. facendoti credere che le cose stanno così, come mai spingono il tuo cuore contro i migliori di te? Fa' attenzione, fratello: non è la verità. Non siamo ancora giunti a stimarci peccatori.

Se uno ama chi lo rimprovera, e saggio. Ma se ama e non fa ciò che l'altro gli dice, questo e piuttosto odio. Se sei peccatore, perché te la fai col prossimo e lo accusi dicendo che da lui ti viene la tribolazione? Non sai che ciascuno è tentato dalla propria coscienza, e ciò gli genera la tribolazione?

Tu sai, fratello, che se uno non sopporta gli insulti non vede la gloria, e colui che non depone il fiele non gusta la dolcezza. Ti e stato dato, in mezzo a fratelli e affari, di essere messo alla prova e purificato col fuoco, e l'oro non si prova se non col fuoco.

Non imporre assolutamente nulla a te stesso, poiché ciò ti può condurre a lotte e sollecitudini, ma valuta le cose secondo il momento, nel timore di Dio, e nulla affatto secondo lo spirito di contesa. Fa' quanto ti e possibile per essere del tutto estraneo all'ira, e divieni un modello utile per tutti, senza giudicare o condannare nessuno, ma assumendo gli altri come veri fratelli.

Ed ama di più quelli che ti mettono alla prova. Anch'io spesso ho amato quelli che mi mettevano alla prova. Infatti, se ci pensiamo bene, sono tali persone che ci fanno progredire.

Sii obbediente e umile ed esigilo da te stesso ogni giorno.

 

  

66

 

Dalle Lettere di Barsanufio e Giovanni di Gaza.

Lettera 61. All'abate Eutimio.

 

Barsanuphe et Jean de Gaza, Correspondance. Solesme, 1972, 59‑60.

 

Vedi, o amato, che, mentre aspiriamo alla mancanza di sollecitudini, non vogliamo poi esserne puri del tutto, così da stimarci come siamo, terra e polvere.

E siamo invecchiati nutrendo in noi la vanagloria. Poiché stimare che la nostra opera piace a Dio, che la nostra reclusione edifica tutti, e che siamo stati resi liberi dal giudicare e dal condannare, questa è l'estrema vanagloria; e niente altro.

Se il nostro grande e celeste medico ci ha dato ogni medicina e ogni impiastro, in che cosa si trova la causa della nostra rovina, se non nella debolezza del nostro proposito? Prima di tutto, egli ci ha dato l'umiliazione che bandisce ogni superbia ed ogni esaltazione che si innalza contro la conoscenza della gloria del Figlio di Dio; poi, l'obbedienza che spegne tutti i dardi infuocati del nemico; ci ha dato di tagliare la volontà, in ogni cosa, a favore del prossimo. E ciò genera l'imperturbabilità del cuore, un'espressione del viso più luminosa e sorridente, la sicurezza dello sguardo.

Ma l'impiastro più grande che egli ci ha dato, quello che abbraccia tutte le membra e cura ogni malattia e ogni

ferita, è l'amore come il suo. Egli infatti si e fatto nostro modello. Poiché e detto: Umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. E avendo posto la sua vita per noi, ci ha istruito dicendo: Come io vi ho amato., così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli,, se avrete amore gli uni per gli altri.

Se non vuoi zoppicare, prendi il bastone della croce, e appoggia su di esso le tue mani e muori, e non zoppicherai più: poiché un morto non zoppica più.

 

 

67

 

Dalle Lettere di Barsanufio e Giovanni di Gaza.

Lettera 65. All'abate Eutimio.

Barsanuphe et Jean de Gaza, Correspondance. Solesme,1972,64.

 

Fratello, anche se tu dici che compio opere buone, io pero non ricordo di me nient'altro mai se non di irritare continuamente Iddio con le mie azioni. Dalle opere dunque io non mi aspetto niente; ma dal suo amore per gli uomini, spero di essere salvato. Poiché il Signore e morto per salvare i peccatori.

Resto perciò seduto, fidando nel suo nome finche venga egli stesso e mi dica: Che vuoi che io ti faccia? Perché gli possa dire anch'io come quello: Rabbuni, che io riabbia la vista. Se avessi anche delle opere, temendo la condanna del fariseo, non oserei parlare.

In ogni caso, fratello, ti dico che tutta la mia vita è la mia speranza dipendono da Dio, e io lo supplico notte

e giorno di essere purificato dalle mie passioni, quelle manifeste e quelle nascoste. Dunque che cosa posso dire delle buone opere, quando odo che ogni bocca sarà chiusa e il seguito?, e ancora: Chi si vanta si vanti nel Signore ?

Beato e colui che, purificato dall'ira e dalle altre pas­sioni, osserva tutti i precetti e dice: Sono un servo utile.

Ma se facciamo un'opera buona e la distruggiamo con un'al­tra, che cosa ci ha giovato il costruire e  l'abbattere ogni giorno? Solamente chi disprezza la gloria e il disonore, può essere salvato in Cristo Gesù Signore nostro. A lui la gloria.

         

 

68

 

Dalle Lettere di Barsanufio e Giovnnni di Gaza.

Lettera 68. All'abate Eutimio.

Barsanuphe et Jean de Gaza, Correspondance. Solesme, 1972, 67.68.

 

Fratello, come mai, quando vai a conversare con gli altri, tu passi dalla carità e dalla gioia all'esasperazione e al rancore, e rimproveri il prossimo invece che te stesso?

Accusa te stesso e sappi che tutto ciò che ti accade non avviene senza la volontà di Dio, sia il riposo per il rendimento di grazie, sia l'afflizione per la pazienza. Dov'è la parola della Scrittura: Sopportate anche colui che vi colpisce in faccia? Per questo noi siamo lontani da Dio.

Dunque se vuoi imparare la strada, è questa: considerare chi ti percuote come uno che ti accarezza; chi ti disprezza come uno che ti onora, e chi ti affligge come uno che ti dà riposo; e se, per dimenticanza o deliberatamente, non ti daranno ciò a cui sei abituato, non affligerti ma di piuttosto: Se Dio avesse voluto sarebbero venuti.

E quando verranno, accoglili con viso lieto, rallegrati, pensando: Il Signore ha avuto misericordia di me indegno; come Daniele, quando il Signore andò a visitarlo, disse solo questo: Dio. ti sei ricordato di me,  giudicando se stesso indegno. E inoltre smettila di giustificarti, perché ogni volta che apri bocca dici: Ho parlato bene; e per ogni pensie­ro: Ho pensato bene. Bene, bene, e dov'è questo bene?

Perché non pensiamo piuttosto a non affliggere alcuno né con le parole né con i fatti? E così Dio sarà con noi in ogni cosa.

 

Letture della preghiera notturna dei certosini

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Anno C

Tempo Ordinario

Sesta Settimana

 

 Liberalità dell'amore di Dio

 

Nella sua generosità Dio ha voluto un essere che fosse capace di riceverlo (67). Egli ci chiama e ci promette la vita in abbondanza (62) purché ci impegniamo a lavorare nella sua vigna, cioè nel nostro cuore. (63) Però il regno dei cieli non è mercede di opere, ma grazia inaudita del Re (65). Che renderemo al Signore per tutto quello che ci ha donato? (66) La misura di amore Dio è di amarlo senza misura (64)

 

62

Lunedì

 

Dalla "Lettera alla monaca Xene" di Gregorio Palamas.

FG 40,13-14.

 

Il Padre ci riconcilia a sé mediante il Figlio, senza tener conto dei nostri peccati, e ci chiama non in quanto dediti a opere cattive, ma come oziosi. L'ozio, per altro, è peccato, e anche di una parola oziosa dovremo rendere conto. Però, passando sopra ai peccati commessi in precedenza da ciascuno, Dio chiama ancora e ancora.

Ma chiama a far che cosa? A lavorare nella vigna, cioè per i tralci ovvero per noi stessi, poi - incomparabile grandezza d'amore per gli uomini ‑ ci promette e ci dà la ricompensa delle fatiche che sosteniamo per noi stessi. Venite, dice, ricevete la vita eterna che io ho pagato generosamente, e vi pago, come debitore, il prezzo della fatica del viaggio e dello stesso desiderio di ottener la salvezza da me. Chi non è debitore del prezzo del riscatto a colui che l'ha riscattato da morte? Chi non rende grazie al datore della vita? Ma egli promette di dare la ricompensa ancor prima, e la ricompensa è indicibile. Egli dice: Sono venuto perché abbiano Ia vita e l'abbiano in abbondanza (Gv 10,10).

Che cosa significa 'in abbondanza'? Non solo l'essere e il vivere insieme con lui, ma divenirgli fratelli e coeredi. Allora questo 'in abbondanza' è la ricompensa data a quelli che accorrono alla vigna vivificante e sono chiamati 'tralci', faticano per sé stessi e la coltivano bene a proprio vantaggio. Che cosa fanno? Anzitutto tagliano quello che è superfluo e improduttivo, anzi è di ostacolo alla produzione di frutti degni del divino granaio. Giacché se uno non si fa tagliare e potare con grandissimo zelo, il germoglio del cuore, non produrrà mai frutti per la vita eterna.

 

63

Martedì

 

Dai "Discorsi sulla vigna dei Signore" di Ugo di san Vittore.

Serm. 15, PL 177.929s.

 

Fratelli, affatichiamoci per acquistare una buona coscienza, così come colui che suda per coltivare la vigna lo fa per ricavarne il frutto. Perciò, consideriamo il nostro cuore come un campo; reputiamo la buona volontà come la vite del Signore, i buoni pensieri come tralci. Zappiamo questo campo una prima, una seconda e una terza volta, come è scritto, con la triplice compunzione. Potiamo la vigna col taglio dei pensieri vani e inutili. Pieghiamola con l'umiltà del cuore, perché attraverso le buone azioni produca le foglie, col buon nome i fiori, con la buona coscienza i frutti.

 

Fratelli carissimi, se avremo lavorato così nella vigna del Signore, riceveremo il denaro promesso. Che cos'è questo denaro? Questo denaro è la vita eterna. Questo denaro rappresenta quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo: queste ha preparato Dio per coloro che lo amano (1 Cor 2,9). Questo denaro è il sommo Bene, nel quale è ogni bene e dal quale procede ogni bene. In esso è ogni bene per la pienezza, e da esso procede ogni bene per la generosità. Questo denaro è vedere Dio e gustarlo. Vederlo grazie alla contemplazione, gustarlo mediante l'amore. Gesù Cristo ci aiuti e si degni remunerare con questo denaro noi che lavoriamo in tale vigna.

 

64

Mercoledì

 

Dal "Trattato sull'amore di Dio" di san Bernardo.

Nn.15-16. PL 182,983s.

 

Che cosa renderò al Signore per tutti i beni che mi ha dato? (Sal 115,12) Nella sua prima opera egli mi ha dato sé stesso, nella seconda si è dato a me e dandosi, mi ha restituito a me. Dunque, dato, poi reso, io sono debitore a me stesso, e doppio debitore. Ma che cosa renderò a Dio per lui? Perché anche se potessi darmi mille volte, che sono io in confronto a Dio?

Riconosci prima di tutto in che misura Dio merita di essere amato da noi, o piuttosto quanto merita di esserlo senza misura. Infatti ci ha amati per primo di un amore così grande e gratuito, lui così grande e noi così piccoli quali siamo. Ecco perché ho detto che la misura di amare Dio è amarlo senza misura.

D'altra parte, poiché l'amore tendendo a Dio tende all'immenso, all'infinito (ché Dio è immenso e infinito), quali devono essere il limite e la misura del nostro amore? E se aggiungiamo che il nostro amore non è dato gratuitamente, ma come paga di un debito?

L'immensità ama; l'eternità ama, la carità sovraeminente ogni scienza, ama; è Dio che ama, la cui grandezza non ha termine, la cui scienza è senza limite, la cui pace supera ogni comprensione; e noi rispondiamo con misura? Sì, ti amerò, Signore, mia forza, Mio sostegno, mio rifugio e liberatore. (Sal 17,2.3)

E tutto ciò che si può dire di più amabile, da parte mia, ecco: ti amerò, o Dio, per il tuo dono.

 

 

 

65

Giovedì

 

Dalle Opere di san Marco l'asceta.

FG 1°,188ss

 

Il Signore vuole mostrare che ogni comandamento è dovuto e che l'adozione a figli è stata donata agli uomini per il suo sangue: perciò afferma: Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare (Lc 17,10). Per questo il regno dei cieli non è mercede di opere, ma grazia del sovrano preparata per i servi fedeli. Il servo non richiede la libertà come mercede, ma se ne rallegra sapendosi debitore e la riceve come grazia. Certuni non compiono i comandamenti ma credono di aver retta fede, altri che li compiono aspettano il regno come una mercede dovuta. Entrambi hanno deviato fuori dalla verità. Non è dovuta infatti nessuna mercede agli schiavi da parte del padrone, e a sua volta, chi non serve bene non otterrà la liberazione.

Quando senti la Scrittura dire che renderà a ognuno secondo le opere, non intendere opere degne della geenna o degne del regno, ma intendi che Cristo retribuirà ciascuno per le opere dell'incredulità o della fede in lui; non come mediatore d'affari, ma come il Dio che ci ha creati e redenti. Quanti siamo stati fatti degni del lavacro di rigenerazione, non presentiamo le opere buone per averne il merito, ma per custodire la purezza che ci è stata donata.

 

66

Venerdì

 

Dalle "Regole ampie" di san Basilio di Cesarea.

Quaest.2,2-4. PC 31,913ss.

 

Quale lingua potrebbe mettere nel dovuto risalto i doni di Dio? Il loro numero è così grande da sfuggire a qualsiasi elenco. La loro grandezza poi è tale e tanta, che già uno solo di essi dovrebbe stimolarci a ringraziarne senza fine il donatore. Ma c'è un favore che, pur volendolo, non potremmo in nessun modo passare sotto silenzio. Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza. Lo fornì di intelligenza e di ragione a differenza degli altri esseri viventi della terra. Gli diede la facoltà di deliziarsi della stupenda bellezza del paradiso terrestre. E finalmente lo costituì sovrano di tutte le cose del mondo. Dopo l'inganno del serpente, la caduta nel peccato e, per il peccato, nella morte e nelle tribolazioni, non abbandonò la creatura al suo destino. Dio non si contentò di chiamarci dalla morte alla vita, ma anzi, ci rese partecipi della sua stessa divinità; ci tiene in serbo una gloria eterna che supera in grandezza qualunque valutazione umana.  Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? (Sal 115,12) Egli è tanto buono da non esigere nemmeno il contraccambio; si accontenta invece che lo ricambiamo con il nostro amore. Quando penso a tutto ciò, rimango terrorizzato e sbigottito per timore che, a causa della mia leggerezza d'animo o di preoccupazioni da nulla, io possa affievolirmi nell'amore di Dio e diventi perfino motivo di vergogna e disdoro per Cristo.

 

67

Sabato

 

Dai "Discorsi" di Isacco della Stella.

Serm.25. S Ch 207,117-119.121.

 

Dio non è come noi. Per gli uomini spesso è fonte di agitazione o di vanità il fatto di non sapersi dominare: non sappiamo serbare per noi un'intima gioia, senza comunicarla a destra e a sinistra; tanto meno siamo capaci di tenerla segreta quanto più essa è intensa. Invece dipende dalla gratuità della generosità naturale, è proprio della natura della bontà, del bene gratuito e naturale ad un tempo di voler effondersi, dilagare e rendere gli altri partecipi gratuitamente di sé. Mai e poi mai la generosità potrà essere avara, la bontà potrà farsi gelosa, la carità potrà rimanere inattiva; e neppure la gioia non può restare nascosta o isolata.

Allo stesso modo l'indivisa Trinità ha creato dal nulla, con un atto indivisibile, quand'ella volle ciò che non cominciò mai a volere, un essere che fosse capace di riceverla; che potesse condividere la sua beatitudine e il suo diletto, cioè un essere ragionevole, ad immagine sua. Soltanto dal nulla la Trinità poteva trarre una prima creatura per pura generosità, come si è detto; non già per necessità inerente alla sua essenza, come taluni insegnarono, quasi non potesse farne a meno, ma per bontà naturale, unicamente perché lo volle.

La gioia, l'amore, il diletto, la soavità, la visione, la luce, la gloria: tutto ciò Dio vuole per noi, per questo ci ha fatti. Contempliamo ciò che è la bellezza somma, dilettiamoci in quella che è la Suprema soavità, lottiamo poi con ogni energia contro tutto quello che le si oppone o le si para dinanzi.

 

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