Letture della preghiera notturna dei certosini |
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Anno A Tempo Ordinario Quinta settimana
Dal Commento sul profeta Isaia di san Cirillo d'Alessandria In Isaiam, lib.IV,l. PG 70,889.892.
Dall'oriente farò venire la tua stirpe. dall'occidente io ti radunerò. Quando il profeta parla di figli e figlie che accorrono dalle quattro parti della terra, egli allude al tempo della venuta di Cristo, in cui fu data agli abitanti della terra la grazia ‑ del adozione per mezzo della santificazione nello Spirito. Quando Isaia dice:Quelli che portano il mio nome, indica che non si tratta di un solo popolo, ma di una vocazione unica, comune a tutti. Portiamo infatti il nome di cristiani, cioè popolo di Dio. Così anche Pietro, inviando una lettera a coloro che sono stati chiamati per mezzo della fede, dice: Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato. Questo popolo, dunque, raccolto dalle quattro parti del mondo e chiamato col mio nome, non altri che io l'ho creato, plasmato e fatto a mia gloria. Ma solo il Figlio può essere veramente chiamato gloria di Dio Padre; per lui e in lui infatti il Padre è glorificato, come Cristo stesso solennemente attesta: lo ti ho glorificato sopra la terra. Noi che in lui crediamo, da ciò conosciamo di essere stati plasmati per mezzo suo, perché divenendo conformi a lui, risplenda nella nostra anima la bellezza della natura divina. Qualcosa di simile dice anche il salmista: Questo si scriva per la generazione futura, un popolo nuovo darà lode al Signore. E quando poi il profeta aggiunge: Guidai un popolo cieco, rivela stupendamente l'altezza inesprimibile e meravigliosa della sua potenza. Irradiò come stella del mattino coloro, la cui mente era avvolta nella caligine dell'errore e della perversità diabolica, e, sorgendo per loro come sole di giusti zia, li rese figli non più della notte e delle tenebre, ma della luce e del giorno, come troviamo scritto in san Paolo.
Dal Commento sul profeta Isaia di san Cirillo d'Alessandria. In Isaiam,lib.IV ,2. PG 70,968.969.
Le vie del Signore sono tutte diritte. Quando parliamo di vie di Cristo, intendiamo gli insegnamenti del vangelo, attraverso i quali, intenti a ogni virtù e cinto il capo con le insegne della pietà, giungiamo al premio della vocazione eterna. Queste sono vie davvero diritte, senza nulla di ambiguo o di perverso: sono rette, e, direi, accessibili. Sta scritto: sentiero del giusto e diritto., il cammino del giusto tu rendi piano. La via della legge e aspra, si snoda tra simboli e figure, quindi tra difficoltà insuperabili. La via dei precetti evangelici, invece, e piana e non presenta alcunché di aspro o scabroso. Diritte, dunque, sono le vie di Cristo. Egli ha edificato la città santa che e la Chiesa, nella quale lui stesso dimora; abita infatti nei suoi santi e noi siamo divenuti templi del Dio vivente, giacché grazie alla partecipazione dello Spirito Santo possediamo Cristo dentro di noi. Ha fondato dunque la Chiesa di cui egli stesso e il fondamento, nel quale anche noi, come pietre splendide e preziose, veniamo edificati per essere tempio santo, per diventare dimora di Dio per ,mezzo dello Spirito. Assolutamente incrollabile e la Chiesa, che ha come fondamento e base stabile Cristo. Egli, dunque, fondata la Chiesa, riscattò il suo popolo dalla schiavitù. Steso a terra il tiranno, ci strappò da Satana liberandoci dal peccato e ci pose sotto la sua protezione: non pero pagando un qualsiasi prezzo, né mediante riscatto. Diede infatti per noi il suo sangue. quindi non apparteniamo più a noi stessi ma a colui che ci ha comprati e riscattati.
Dal Commento sul profeta Isaia di san Cirillo d'Alessandria. In Isaiam, Lib.IV, 4. PG 70,1068.
La passione di Cristo, la sua croce preziosa, le sue mani trafitte diventarono sicurezza, muro inaccessibile e incrollabile per coloro che credono in lui. Quindi il profeta dice giustamente: Ecco, con le mie mani ho disegnato le tue mura. Cioè, per mezzo della trafittura delle mani: e con questo solo particolare si vuol significare tutta la passione. Ho disegnato, ossia ho formato. E tu sei sempre dinanzi a me. Se infatti Cristo patì per noi, come potrebbe dimenticarsi di noi? Come non sarebbero sempre davanti ai suoi occhi coloro per i quali fu confitto in croce? Egli stesso disse: Le mie pecore ascoltano la mia voce e mi seguono. E io do loro la vita eterna. E anche: Nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio: e così proprio perché sono all'ombra dall’Altissimo, protette dall'aiuto divino come in una torre fortificata. Dio Padre, dunque, ci sostenta quasi con le sue mani, custodendoci presso di sé, e non permette che siamo indotti al male o che soccombiamo alla malizia dei malvagi, né che diventiamo preda della violenza diabolica. Nulla perciò ci impedisce di intendere che le mura di Sion disegnate dalle sue mani significhino gli esperti nell'arte spirituale; pervasi dalla grazia, essi si danno a conoscere nella testimonianza delle virtù. Analogamente, Cristo e la luce vera, e tuttavia dice che i suoi sono la luce del mondo. Allo stesso modo, siccome il Signore e muro e sicurezza di chi crede in lui, ha dato ai suoi santi questa stupenda dignità, di essere chiamati mura della sua Chiesa.
Dal Commento sul profeta Isaia di san Cirillo d'Alessandria. Isaiam, Lib. 4,4. PG 70,1089.
Il Signore mi ha dato una lingua da iniziati,1 perché io sappia quando devo parlare. Non contrasta, ma anzi va pienamente d'accordo con un'esatta esposizione il fatto di applicare queste parole del profeta Isaia allo stuolo dei santi apostoli e anche a tutti coloro che credono in Cristo e sono istruiti nella dottrina spirituale, per cui hanno la mente e l'anima largamente illuminate. Possiamo applicare la frase d'Isaia anche a coloro che sono stati resi partecipi dei divini carismi e degni di contemplare con i puri occhi dell'anima le profondità della Scrittura divinamente ispirata. Infine, includerò tra i santi quelli che hanno seguito la morale evangelica, la prudenza e la scienza. Costoro, dunque, cantano inni di ringraziamento e proclamano che a loro e stata concessa una lingua da iniziati, ossia una lingua capace di parlare con cognizione di causa dei misteri divini e di spiegarli senza errore; essi sono perciò in grado di capire quando e come è opportuno servirsi di parole di consolazione. È quello che fecero i discepoli del Signore, quando riempirono e ricolmarono gli animi e i cuori con la sana immacolata dottrina della fede cristiana; essi presentarono ogni ascoltatore della divina predicazione l'uno o l'altro discorso, secondo quanto conveniva a ciascuno. Questa fu dunque la lingua da iniziati e il dono della scienza per sapere quando conviene parlare: ed essi dicono che e stata data loro all'alba, ossia e sorto nel loro cuore lo splendore del giorno, il fulgore della luce divina e intelligibile, la stella del mattino. Comprenderemo meglio ciò con le parole del beato Paolo che scrive: Ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce: e lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto.
Dal Commento sul profeta Isaia di san Cirillo d'Alessandria. In Isaiam,lib.5,1. PG 70,1152‑1153.1156.
Secondo il profeta Isaia, il Signore disse: Coloro che sono chiamati alla conoscenza della verità, vedranno la mia gloria, perché proprio io, che parlavo per bocca dei profeti, sono qui. Infatti ci e apparso Dio, il Signore, come e scritto: Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. E si deve sottolineare questo: che Dio Padre ha creato tutte le cose attraverso il Figlio e per suo mezzo ha parlato a noi nella pienezza dei tempi: ma non come se egli fosse un altro figlio, generato secondo la carne da una donna, poiché unico e il Figlio, avendo il Verbo assunto per noi la carne della nostra umanità, lui che e anche il creatore dei secoli. È apparso Cristo, nostra pace, che ha rimosso l'ostacolo del peccato e ci ha riconciliati con il Padre unendoci a sé: per lui infatti abbiamo accesso al Padre. Come uno che giunge veloce e rapidamente conduce prigioniero il nemico per annunciare la pace e proclamare la buona novella, così si presentò al mondo nella carne il Salvatore di noi tutti, e fu costituito mediatore di pace presso Dio Padre, dopo aver eliminato Satana e aver tolto di mezzo tutte le sue schiere. E poiché questo e il tempo in cui tutti quelli che lo desiderano sono resi partecipi di ogni ricchezza, Cristo è sempre vicino a coloro che, credendo in lui, sanno gustare e compiere la sua volontà, per poter giungere a partecipare pienamente alle grazie celesti ed essere ricolmi di ogni buona speranza: il Salvatore infatti e ricco di ogni specie di doni.
Dal Commento sul profeta Isaia di san Cirillo d'Alessandria. In Isaiam,1ib.5,2. PG 70,1225.
La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. San Giovanni chiama grazia e verità l'istituzione del culto in spirito e verità, avvenuta per mezzo degli oracoli del vangelo, con grande virtù e potenza. Era infatti conveniente che Mose, essendo servo, fosse ministro di un'ombra destinata a scomparire; mentre colui che e eterno, cioè Cristo, fosse il rivelatore del vero e perenne culto. In che cosa consista poi quell'eterna alleanza, che Cristo realizzerà pienamente nella fede per coloro che sì avvicinano a lui, il profeta Isaia lo spiega dicendo che le sante promesse fatte a Davide sono fedeli. Sono dunque sante perché santificano e rendono giusti e irreprensibili coloro che le ricevono: sono anche fedeli, perché suscitano la fede, e in coloro che le hanno apprese radicano la stabilita nella fede e la pietà della vita. Questa e la potenza e l'efficacia delle profezie riguardanti il Cristo. Quando nominò Davide, cioè Cristo nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, Isaia disse di lui: Ecco, l'ho costituito testimonio fra i popoli. principe e sovrano sulle nazioni. 3 In questo modo attesta che il Signore nostro Gesù Cristo dona la luce della vera conoscenza di Dio alle moltitudini dei popoli, nella misura in cui esse sono capaci di riceverla, cioè la desiderano senza opporre resistenza. Il profeta dice infatti, per mezzo della lira del salmista: Ascoltate., popoli tutti, porgete orecchio, abitanti del mondo, voi nobili e gente del popolo.. ricchi e poveri insieme. La mia bocca esprime sapienza,, il mio cuore medita saggezza. Da Cristo furono arricchiti tutti gli umani del dono della sapienza, e divennero capaci di comprendere; in tal modo il loro animo non e più malato e ferito, ma sano e in grado di accogliere e portare a compimento ogni cosa buona, che giova alla salvezza.
Anno C Tempo Ordinario Quinta settimana
Il
Figlio rivela il Padre ai semplici L'incontro col Padre nel segreto della solitudine (57),
nella tenebra luminosa (60), è la vita eterna già
iniziata quaggiù (56). Essa consiste appunto nel
conoscere il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (61); questa è l'unica sapienza riservato ai puri di cuore (58),
il dono ineffabile della nostra filiazione divina (59). 56 Lunedì Dal "Commento al Cantico
dei Cantici" di Guglielmo di san Teodorico. Nn.67-68.
PL 180,495. Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui
al quale il Figlio lo voglia rivelare (Mt 11,27). Solo
la luce del volto di Dio insegna questo; il senso della vita viene
dallo Spirito di vita: grazia su
grazia(Gv 1,16) l'intensa fruizione del Sommo Bene è data in
premio di un gran desiderio. Mai l'anima
conosce sé stessa, il suo essere, le sue capacità, se non in questa
luce; né trova alcun piacere a uscire di sé, finché non le sia dato
in tal modo di trovare la felicità dentro di sé. Beato e felice
l'uomo che possiede tale gloria e le ricchezze di questa grazia
nell'abitacolo del suo cuore, nel tesoro della propria coscienza. Il suo cuore
reso stabile non si smuoverà, cioè non uscirà desiderando oggetti
estranei o agendo con inquietudine. Ricco com'è in casa propria,
possiede in una coscienza buona pace, pietà e distacco. Queste
ricchezze appartengono ai poveri in spirito che cercano Dio con
semplicità di cuore e obbediscono in lieta costanza ai comandamenti;
con fede robusta aspettano la realizzazione delle promesse e già
pregustano, con la certezza della speranza, l'oggetto della loro
attesa; perciò sentono qualcosa della bontà di Dio. Non cercano le
grandezze, ma abbracciano le cose umili, senza ricusare il giogo del
Signore né recalcitrare contro lo stimolo della sua disciplina. 57 Martedì Dai
Discorsi di Isacco della Stella. Serm.1,6-9.S
Ch 130,89-91. In un primo
tempo Cristo Signore va oltre tutte le folle e con i discepoli sale
sulla montagna. In un secondo tempo egli lascia gli stessi discepoli
considerati con la folla inferiori ai tre, e sale su un monte elevato.
In ultimo sale da solo dove nessuno lo può seguire, oltrepassando
ogni creatura, là dove è l'Uguale presso l'Uguale, il Figlio presso
il Padre. Sul primo monte si ascolta solo il Figlio, sul secondo si
vede il Figlio e si ascolta il Padre, sul terzo nessuno può vedere e
ascoltare il Padre, se non il Figlio, né il Figlio se non il Padre.
Non sono forse queste le cose ineffabili, che non è lecito all'uomo
proferire? I tre monti non potrebbero essere i tre cieli? Nel primo è
figurata la vita spirituale dell'uomo, nel secondo è rappresentata la
vita angelica, nel terzo è nascosta la vita divina. Il primo
raffigura la santità presente, il secondo manifesta la gloria futura;
nel terzo, che è come il cielo del cielo, dove ascende sul tramonto
verso Oriente, colui il cui nome è il Signore, abita in una luce
inaccessibile la Trinità gloriosa nota solo a sé stessa e all'uomo
assunto nella divinità; e abita in questa pace, che supera ogni senso (Fil 4,7), dove d'altronde l'Uomo Dio prega il
Padre per noi, come dice il beato Apostolo: Sta alla destra di Dio e intercede per noi (Rm 8,34). Ecco dunque,
in quale profondità nascosta prega colui che ci ha insegnato a
pregare il Padre nel segreto. Fratello, prepara dentro di te una cella
interiore, dove puoi fuggire da te stesso, se vuoi pregare nel segreto
il Padre. 58 Mercoledì Dai
Discorsi ascetici" di Isacco di Ninive. Disc.19.Op.cit.,129s. Il salmista
canta: Il Signore protegge gli
umili (Sal 114,6). E Dio veglia non solo su quelli che sono
bambini nel corpo; infatti coloro che crescono in sapienza nel mondo
se abbandonano la loro scienza, se si basano sulla sapienza che unica
basta e diventano nella volontà come bambini, allora imparano quella
sapienza che nessuno studio può insegnare. San Paolo ha espresso
magnificamente l'ordine divino quando ha detto: Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia
stolto per diventare sapiente (1 Cor 3,18). Tuttavia chiedi a Dio
che ti conceda di giungere all'altezza della fede. Se tu hai sentito
nell'anima tua quelle delizie, non mi è difficile affermare che nulla
più ti vieta di unirti a Cristo. Ma a te non è strano lasciarti
ghermire ad ogni momento dalle realtà mondane; scivoli nella
dispersione, fai fatica a dimenticare il mondo malato e il ricordo
delle sue cose. Prega perciò senza ritardi, supplica con tutto il
cuore, chiedi fervidamente fino a quando riceverai. E non ti lasciar
andare. La fede e le sue delizie ti saranno concesse se prima con
tutto il cuore ti fai violenza per affidare a Dio le tue
preoccupazioni e sostituire la tua previdenza con la provvidenza
divina. Quando il
Signore vedrà la tua buona volontà, quando vedrà che in piena
purezza di cuore ti affidi a lui e non a te stesso, e ti fai violenza
per sperare in lui più che nell'anima tua, allora quella potenza
finora a te ignota, verrà a porre la sua dimora nel tuo cuore. 59 Giovedì Dal
trattato "Su Matteo" di san Pascasio Ratberto. 4,6.
PL 120,28Os. Nessuno
disperi di ottenere dal Padre ciò che il Figlio unigenito insegnò a
chiedere; nessuno tralasci per ignavia le opere proprie dei figli,
come egli insegnò. Questo è il potere che egli ha dato agli uomini,
di diventare figli di Dio. Perciò Cristo iniziò col mettere in atto
questo potere, affinché da esso promani l'adozione della nostra
libertà. Per questo ci dona l'audacia di dire la preghiera che egli
diede e insegnò, perché la grazia supplisca alla nostra
insufficienza. Tutte le volte che uno di noi, sia pure lontano dagli
altri e nascosto nei luoghi più remoti, chiama Dio con il nome di
Padre, si renda conto che il dono di così grande grazia non è
concesso in maniera separata ai singoli, ma a tutta la comunità degli
uomini. Nessuno quindi si glori nel dire: Padre mio che sei nei cieli,
ma Padre nostro (Mt 6,9), poiché
quella espressione compete solo a Cristo del quale Dio è Padre in
modo unico. Ecco come
dev'essere stimata sicura e santa la preghiera che ci ha insegnato il
celeste maestro della vita; ecco quanto possiamo essere beati se la
custodiamo non solo proclamandola con la bocca, ma anche vivendola con
fedeltà; ed ecco quale sicura speranza di salvezza è data ai
credenti, quanto è grande l'amore che il Creatore diffonde su di noi,
quale infinita misericordia e bontà ci viene elargita, quale
abbondante grazia e qual dono di fiducia ci è concesso: proprio noi,
che non siamo stati degni servi, osiamo chiamare Dio con il nome di
Padre. E' dunque necessario che viviamo e ci comportiamo da figli di
Dio, per dimostrare con le opere e con il nostro tenore di vita di
essere realmente ciò che siamo chiamati. 60 Venerdì Dalla
“Vita di Mosè" di san Gregorio di Nissa. II,162-164.
S Ch 1,80ss. Dio è il
totalmente altro. Non cade sotto alcuna percezione umana. Sfugge ai
sensi, ma anche alla ragione. Ma già l'intuire questo mistero
significa esserne afferrati, entrare nella tenebra che è luce. La
conoscenza del mistero di Dio è luce per quelli che le si avvicinano.
L'empietà invece è tenebra, ma la tenebra si dissipa quando si entra
nella luce. La mente che
penetra con più intensa e perfetta attenzione nell'intelligenza della
realtà, quanto più avanza nella contemplazione tanto più si accorge
che la natura è invisibile. Solo se
lasciamo da parte le conoscenze sensibili e quello che ha solo
apparenza, potremo, con travaglio della riflessione, penetrare in
profondità fino a raggiungere l'Essere invisibile e inconoscibile; là
allora vedremo Dio. Ma potremo dire di vederlo veramente quando ci
accorgeremo che l'oggetto della nostra ricerca sta nascosto, come in
una nube caliginosa, fuori del nostro campo visivo. Il mistico
Giovanni, che si trovò in questa luminosa caligine, afferma che nessuno
ha mai visto Dio (Gv 1,18). Con questa osservazione negativa, egli
stabilisce che la conoscenza dell'essenza divina è irraggiungibile
non solo dagli uomini, ma da qualsiasi creatura intellettuale. Mosé
asserisce di vedere Dio nella caligine, proprio quando ne ha raggiunto
una conoscenza più perfetta. Egli intende affermare che Dio è per
natura superiore a ogni capacità di conoscenza e di comprensione
delle creature. 61 Sabato Dai
Discorsi di Isacco di Ninive Disc.19,Op.cit.,130s. La conoscenza
spirituale è semplice. Non offre i suoi lumi nei pensieri legati al
mondo. Infatti finché l'intelligenza non si è liberata dei numerosi
pensieri del secolo, finché non ha raggiunto la semplicità della
purezza, non può avvertire la conoscenza spirituale. Questo è
l'ordine di tale conoscenza: sentire e gustare le delizie della vita
del secolo futuro. Soltanto allora è possibile rigettare i pensieri
vani. Eppure nessuno potrà ricevere la conoscenza spirituale se non
si converte, se non diventa come un bambino. Solo a questa condizione
potrà godere le delizie del regno dei cieli. Sta scritto che il regno
dei cieli è la contemplazione spirituale; E questa non consiste nelle
opere del pensiero. Ma può essere gustata mediante il dono della
grazia divina. Ora, finché l'uomo non si è purificato, è incapace
di raggiungere tale grazia. Nessuno poi pensi di acquisire la
conoscenza spirituale ricevendo qualche insegnamento. Invece se
approdi alla purezza del cuore attraverso la fede, questa purezza che
la solitudine e il ritiro dal secolo offrono al monaco, se insomma
dimentichi la conoscenza del mondo al punto da non avvertirla più,
allora subitanea la conoscenza spirituale ti starà davanti, senza che
tu nulla abbia fatto per ricercarla. |
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