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Letture della preghiera notturna dei certosini

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Anno A

 

Tempo Ordinario

 

Quindicesima Settimana

 

 

195

 

Dalla Lettera ai Fratelli di Mont‑Dieu di Guglìelmo di Saint‑Thierry.

68‑70. Testo latino in La Lettera d'oro, Sansoni, Firenze,1983,104‑6.

 

Il novizio non possiede ancora né la guida della ragione, né la spinta dell'affetto, né il discernimento del giudizio che lo orientino nella vita religiosa e solitaria. Egli ha perciò bisogno di fare appello alla violenza contro se stesso e deve lasciarsi lavorare dalla legge dei comandamenti, come da mani altrui, al pari della creta modellata dal va­saio. Occorre che sia formato in ogni pazienza, sottomettendosi alla volontà e al, giudizio di colui che lo plasma e lo forgia sulla ruota girevole dell'obbedienza e sul fuoco della prova.

Quand'anche infatti egli sia di provato ingegno, ottenga risultati brillanti ed eccella per intelligenza, questi sono strumenti tanto dei vizi quanto delle virtù. Il principiante non rifiuti dunque di imparare a servirsi per il bene di ciò che può servire per il male: questa è propriamente l'opera della virtù.

Il talento alleni il corpo, l'arte plasmi il carattere, l'intelligenza renda l'animo non orgoglioso, ma docile. Talento, arte, intelligenza e altre simili qualità le abbiamo gratui­tamente; non cosi la virtù, che vuole essere appresa con umiltà, cercata con fatica, posseduta con amore. Degna di tutti questi beni, la virtù non può essere appresa, cercata o posseduta altrimenti.

 

 

 

196

 

Dalla Lettera ai Fratelli di Mont‑Dieu di Guglielmo di Saint‑Thierry.

81‑82. Testo latino in La Lettera d'oro,Sansoni,Firenze,1983,112.

 

Il ricettacolo di tutte le tentazioni, di tutti i pensieri cattivi e inutili è l'ozio. La peggior condizione dell'intelligenza è il riposo sterile. Il servo di Dio non resti mai in ozio, anche se riposa per Dio.

Badiamo di non imporre il nome di ozio, termine così vano, molle e sospetto, a una realtà così santa, così seria e cosi sicura com'è la vita in Dio. Sarebbe "ozio" il tempo libero per Dio? Anzi, è l'occupazione delle occupazioni! Chiunque in cella non si comporta con fedeltà e amore, se non agisce a tal fine, qualunque cosa faccia, sta in ozio.

A questo proposito, è ridicolo, per evitare l'ozio, andar in cerca di occupazioni oziose. Ozioso in effetti è tutto ciò che non presenta nessuna utilità o non mira a nessun fine utile. Non si tratta soltanto di passare il tempo con un certo piacere o senza troppo disgusto; ma anche di far rimanere nella coscienza da ogni giornata trascorsa qualcosa a profitto della mente e di aggiungere qualche apporto quotidiano al tesoro del cuore.

Il buon solitario deve considerare come non vissuto quel giorno in cui si ricorda di non aver compiuto nessuna delle opere per le quali si vive in una cella.

 

  

197

 

Dalla Lettera ai Fratelli di Mont‑Dieu di Guglielmo di Saint­ Thierry.                  

174‑175. Op.cit., 178.180.

 

A chi è novizio nella preghiera o nella meditazione è meglio e più sicuro proporre la rappresentazione dell'umanità del Signore, della sua nascita, passione e risurrezione; così il suo animo ancora malfermo, che non riesce a pensare se non a corpi e a realtà materiali, avrà un oggetto su cui fissarsi, qualcosa a sua misura cui possa aderire con sguardo d'amore.

Il Salvatore si presenta a noi in forma di Mediatore; in lui, come si legge in Giobbe, l'uomo che frequenta la propria specie, non pecca, poiché quando dirige verso Cristo lo sguardo della sua attenzione, pensando la specie umana in Dio, non si allontana mai dal vero; così, per mezzo della fede, non separa Dio dall'uomo e impara nell'uomo talvolta a cogliere Dio.

In tutto questo nei poveri in spirito e nei figli di Dio più semplici, il sentimento suol essere dapprima tanto più dolce quanto più è vicino alla natura umana.

In seguito, però, la fede si trasforma in amore; essi abbracciano allora nel centro del proprio cuore, in un am­plesso d'amore, il Cristo Gesù: interamente uomo, per la natura umana ch'egli ha assunta, interamente Dio, a causa della natura divina che assume l'umana. Cominciano già a conoscerlo non più secondo la carne, per quanto non possa­no pensarlo pienamente come Dio.

Adorando poi Cristo nel loro cuore, amano offrirgli i voti pronunciati dalle loro labbra, suppliche, preghiere, domande, secondo i tempi e determinate occasioni.

 

 

198

 

Dalla Lettera ai Fratelli di Mont‑Dieu di Guglielmo di Saint‑Thierry.

206‑209. Op.cit., 206.208.

 

Per l'uomo dotato di ragione niente è più degno e più utile dell'esercitare ciò che egli ha di migliore e per il quale supera tutti gli altri esseri viventi, e anche le altre parti del suo essere: tale facoltà è la mente o l'animo. E per la mente o l'animo, rispetto a cui tutte le altre parti dell'uomo sono come sudditi da governare, non vi è nulla di più degno da cercare, né di più dolce da trovare, né di più utile da possedere di ciò che, unico, e superiore alla mente stessa: e questo è Dio solo.

Dio non è lontano da ciascuno di noi,  poiché in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. Non siamo nel Signore nostro Dio come nell'aria che respiriamo, ma viviamo in lui tramite la fede; ci muoviamo e progrediamo in lui trami­te la speranza; siamo, cioè rimaniamo e ci ancoriamo in lui tramite l'amore.

Da Dio e in vista di Dio l'animo razionale è stato crea­to, perché verso di lui si volga e lui sia il suo bene. L'animo stesso trae la sua bontà da questo bene. A sua immagine e somiglianza è stato creato, appunto affinché, lungo tutta la durata della sua vita quaggiù, si accosti per la somiglianza quanto più da vicino e con maggior precisione può a colui dal quale ci si allontana solo per la dissomiglianza; perché sia santo quaggiù come Dio stesso è santo, e in futuro sia beato, come Dio stesso è beato.

In sintesi, la sola grandezza, il solo bene per un animo creato grande e buono consiste nel rivolgere lo sguardo, l'ammirazione, il desiderio verso ciò che sta al di sopra di sé, affrettandosi ad aderire come immagine fedele alla sua somiglianza. Poiché è immagine di Dio, per questo fatto l'animo razionale comprende che può e deve unirsi a colui di cui è l'immagine.

 

  

199

 

Dalla Lettera ai Fratelli di Mont‑Dieu di Guglielmo di Saint‑Thierry.

210‑212. Testo latino in La Lettera d'oro, Sansoni, Firenze,1983,208.

 

L'animo, pur governando sulla terra il corpo che gli è stato affidato, con la miglior parte di sé, cioè con la memoria, l'intelligenza e l'amore, ama trascorrere sempre la propria vita in quei luoghi dai quali sa di aver ricevuto tutto quello che è e tutto quello che ha; e in alto, nei cieli, gli è consentito sperare, per quanto all'uomo è possibile sperarlo, che rimarrà in eterno e raggiungerà con la piena visione di Dio la piena somiglianza; purché non trascuri, però, di conformare la sua vita a questa beata speranza.

L'animo punta dunque lo sguardo al cielo, da cui dipen­de; se indugia tra gli uomini, è, più per farli vivere della vita di Dio, nella ricerca e nel possesso delle realtà divine, che per vivere in questa vita mortale e terrena.

L'animo volge verso il cielo il corpo che egli anima, dandogli così la sua posizione naturale: verso questo cielo che per natura, luogo, dignità, si eleva sopra ogni luogo e ogni corpo. L'animo stesso, natura spirituale, ama rivolger­si sempre verso le vette del mondo spirituale, cioè verso Dio e le realtà divine.

Lo spinge a ciò una sapienza orgogliosa? Niente affatto, perché è mosso dalla tenerezza dell'amore, frutto di sobrie­tà, giustizia e pietà. E quanto più alta è la mèta a cui tende con i suoi sforzi, tanto più vigorosi sono gli esercizi a cui deve applicarsi; essi non lo bagnino solo, ma lo impregni­no e lo coinvolgano a tal punto da condurlo alla perfezione.

 

 

200

 

Dalla Lettera ai Fratelli di Mont‑Dieu di Guglielmo di Saint‑Thierry.

230‑233. Testo Latino in La Lettera d'oro, Sansoni, Firenze, 1983,216. 218.

 

Quando si tratta di amare Dio, l'unica regola, l'unico criterio valido di discernimento è questo: come Dio nel suo amore ci ha amato fino alla fine, così noi, se possibile, dobbiamo amarlo senza fine, al pari dell'uomo che è beato per l'ardente desiderio dei comandamenti divini.

Ma se colui che ama non deve porre né fine né limiti al dono di sé, tuttavia limiti, confini e regole si impongono alla sua attività. E per impedire gli errori possibili di una volontà eccessiva, è necessario che sia sempre presente la verità a custodirla tramite l'obbedienza.

D'altronde, nulla conviene tanto al progresso positivo dell'uomo verso, Dio, quanto la volontà e la verità. Queste sono quelle due cose che, come dice il Signore, se si saranno accordate in un unico intento, qualsiasi cosa chiederanno, sarà loro concessa dal Padre.

Quando dunque volontà e verità si uniscono in un accor­do perfetto, racchiudono in sé la pienezza delle virtù, senza che si insinui alcun vizio. Volontà e verità tutto possono, anche nell'uomo indigente; tutto hanno e possiedono nell'uo­mo che non ha nulla: donano, imprestano, provvedono, giovano all'uomo che è in pace con se stesso.

Gloria e ricchezza nella coscienza di quell'uomo beato sono i frutti della sua buona volontà.

 

 

 

Letture della preghiera notturna dei certosini

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Anno C

 

Tempo Ordinario

 

Quindicesima Settimana

 

 

 

VANGELO (Mt 5,20-26)

Va’ a riconciliarti con il tuo fratello.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.

Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.

Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.

Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo!”.

 

 

L’assoluto evangelico

 

Urge rivestirsi di purezza (193) per vivere l’assoluto del vangelo (194). In pratica ciò significa sposare la mitezza e l’umiltà (195, 196), cancellare la mestizia dal cuore del fratello (197) in modo da prepararsi per una preghiera che sia gradita al Signore (198).

 

193

Lunedì

 

Dalle omelie “Sulle beatitudini” di san Gregorio di Nissa.

PG 44, circa 1275.

Il Signore distingue due generi di peccato: quello che si manifesta negli atti e quello che nasce nella mente. Al tempo dell’antica legge, Dio castigava l’iniquità delle azioni, e oggi che attacca la seconda forma di peccato, promulga una legge con cui non cerca più di punire le colpe commesse, ma vuole distruggere il male alla radice. Ci potrebbe essere modo più efficace di Premunire la vita dal male che estirpandolo dalla coscienza? Il peccato è molteplice e diverso. Ad ognuno dei suoi risvolti, Cristo oppone uno dei suoi comandamenti come arma tagliente. L’ira spesso è la più impetuosa delle nostre passioni. Perciò il Signore comincia col curare un male così vulcanico e dà la prima legge, esortando alla mansuetudine. Se hai imparato, egli ci dice, a non uccidere secondo il precetto antico, adesso impara a scacciare dal cuore ogni collera contro i tuoi (cf Es 20,30).

Poi Cristo attacca la sensualità e i suoi moniti svellono dal cuore le brame folli dell’adultera. Ci rendiamo così conto che il Signore a poco a poco corregge tutti i vizi con i suoi comandamenti, opponendosi ad ogni moto disordinato. Lungi dal sopportare che rimbecchiamo chi ci ingiuria, esige persino che accettiamo ciò. Bolla la passione dell’avarizia, quando comanda che abbandoniamo a chi ci spoglia persino quello che costui non ha preteso. Poi ci guarisce dalla codardia con l’esigere che superiamo la paura della morte. Insomma, osserva i suoi precetti e vedrai che l’arpione della sua parola strappa dal fondo dei nostri cuori le brutte radici dei peccati: così la finiamo con quegli ammassi di rovi e spini!

 

194

Martedì

 

Dalle “Lettere” di san Basilio.

Lett. 173. PG 32,648-649

Davvero bisogna lottare non poco per vivere coerentemente alla promessa fatta nella professione. Se tutti scelgono di vivere secondo il vangelo, quanto pochi però ne conosciamo che spingono l’osservanza fino alle più piccole cose, senza trascurare nulla di ciò che il vangelo prescrive: così costoro dominano la lingua e controllano lo sguardo secondo l’insegnamento del vangelo, operano con le mani e muovono i piedi per conseguire il beneplacito di Dio, e si servono di ogni membro nel modo inteso all’origine dal nostro Creatore. A dirle soltanto, queste cose sembrano piccole: ma in realtà poi si vede che bisogna lottare molto per riuscire a praticarle. E si deve tendere anche alla perfezione nell’umiltà, così da non ricordare la gloria degli antenati e da non vantarci dei doni naturali che possiamo avere, sia fisici sia spirituali, e da non trarre occasione di orgoglio per ciò che gli altri pensano di noi.

Fa parte della vita evangelica anche quest’altro: austerità nella continenza, impegno serio nella preghiera, compassione nell’amore fraterno, contrizione di sé, purezza di fede, serenità nell’afflizione. E non lasciamo mai cadere il pensiero del tremendo e inevitabile tribunale verso cui tutti rapidamente andiamo, benché pochissimi vi pongano mente preoccupandosi di come andrà a finire!

195

Mercoledì

 

Dalla “Scala dei Paradiso” di san Giovanni Climaco.

7° grado,17.18.19.20.30. Op.cit.,pp.129.131.

Segno della somma mitezza è custodire il cuore pieno di serenità e di amore verso colui che ci ha offesi, persino alla sua presenza. Ed è certo segno di ira continuare a bisticciare dando in escandescenze con parole e gesti contro chi ci ha contrariato, anche quando costui è assente e noi siamo soli.

Se lo Spirito Santo è chiamato la pace dell’anima, - ed in realtà lo è - e se l’ira è detta turbamento del cuore, e lo è, nulla si oppone tanto alla venuta in noi dello Spirito quanto adirarsi.

Sappiamo che l’ira genera molti e detestabili germogli. Ne conosco soltanto uno, nato da essa, suo malgrado, e che ha una certa utilità, anche se è suo figlio bastardo. Vidi gente prender fuoco in modo insensato e vomitare così rancore accumulato da tempo; dalla loro stessa passione furono liberati, dando luogo all’avversario sia di testimoniare rincrescimento, sia di chiarire quanto da tempo li rattristava.

E ne ho visti altri, che sembravano conservare la pazienza, ma in modo sbagliato, e che covavano risentimento sotto l’apparenza del silenzio. Giudico questi ultimi più meschini di quelli che vanno sulle furie, perché mettono in fuga la Colomba con quelle loro tenebre.

L’inizio della beata mansuetudine è accettare le umiliazioni nell’amarezza di un cuore mesto. Lo stato intermedio è rimanere esenti da pena in mezzo a tali cose. Ma la perfezione - se esiste! - sta nel considerarle un onore. Il primo si rallegri, il secondo si mostri forte; beato il terzo, perché esulta nel Signore.

196

Giovedì

 

Dai “Detti” dei Padri dei deserto.

Serie anonima,185.187. Agatone,19. Bellefontaine,pp.386-387.48.

Un anziano ha detto: Non disprezzare colui che ti sta accanto, perché non sai se lo Spirito di Dio è in te o in lui. Quando dico “colui che ti sta accanto”, voglio parlare di chi ti serve.

Un fratello era rattristato contro un altro fratello, il quale, avendolo saputo, venne a chiedergli perdono. Ma l’altro non gli aprì la porta. Allora costui andò da un anziano e gli raccontò la faccenda. L’anziano gli rispose: Cerca se non vi sia nel tuo cuore un motivo, per biasimare il tuo fratello o pensare che è lui il responsabile. Tu ti giustifichi e per questo quello non ha voglia di aprirti. Perciò ascoltami: anche se è lui che ha peccato contro di te, va’, mettiti in cuore che sei tu ad aver peccato contro di lui e scusa tuo fratello; allora Dio lo convincerà a riconciliarsi con te. Persuaso, il discepolo fece cosi, poi andò a bussare dal fratello che appena sentì picchiare, gli chiese perdono per primo, da dentro; e gli apri e lo abbracciò con tutto il cuore. E vi fu tra i due una gran pace.

Abba Agatone diceva: Un uomo irascibile, anche se facesse risuscitare i morti, non è accetto a Dio.

197

Venerdì

 

Dalle “Conferenze” di san Giovanni Cassiano.

XVI,16. S Ch 54,235-236.

Se il nostro fratello ha qualcosa contro di noi, Dio non accetta più le nostre preghiere. In altre parole: Dio non accetta l’offerta delle nostre preghiere finché non avremo allontanato con pronta riparazione, la tristezza dal cuore del fratello, sia essa prodotta per nostra colpa, sia che noi non ne abbiamo colpa. Il Signore non dice: se tuo fratello ha un giusto motivo per lamentarsi di te, lascia la tua offerta dinanzi all’altare e corri prima a riconcíliarti con lui. No! Dice: se ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, vale a dire: anche se il dissapore che ha provocato il malinteso fra te e il fratello è cosa da nulla, e il ricordo di ciò colpisce all’improvviso la tua memoria, sappi che non devi offrire i doni spirituali della preghiera, senza aver fatto prima scomparire i segni della tristezza dal cuore del fratello, - qualunque ne sia stata la causa -con una soddisfazione piena di affetto.

Così il vangelo ci comanda di far le nostre scuse ai fratelli imbronciati, anche per un contrasto passato e leggero. E noi, per collere molto recenti e serie, per di più nate da nostra colpa, ostentiamo una noncuranza sprezzante? Che sarà di noi? Gonfi di superbia diabolica e timorosi di umiliarci, non vogliamo riconoscere di essere responsabili della tristezza del fratello: il nostro spirito ribelle sdegna di sottomettersi al comando del Signore e ci difendiamo col dire che quel comando non va preso alla lettera ed è impossibile a praticarsi. Ma quando giudichiamo impossibili i comandi del Signore, diventiamo, come dice l’Apostolo, non come uno che osserva la legge, ma come uno che la giudica (Gc 4,11).

198

Sabato

 

Dal trattato “Sulla preghiera” di Origene.

Nn. 8-9. PG 11,442-443.

Non possiamo pensare che uno si dedichi alla preghiera senza purificazione; allo stesso modo non immaginiamo che chi prega possa ottenere il perdono dei suoi peccati, se non ha prima perdonato di tutto cuore al fratello che gli chiedeva perdono. Penso che in molti modi verrà il soccorso a chi desidera comportarsi così e vi si impegna con ogni energia.

Anzitutto, chi si dispone a pregare in questo modo troverà gran vantaggio ad assumere un atteggiamento orante che lo metta alla presenza di Dio e lo coinvolga a parlargli come a chi lo vede e gli è presente. Infatti come certe immagini o certi ricordi di eventi passati ingombrano la mente che si lasci invadere da essi, così è utile ricordarsi che Dio è lì e che conosce i moti più secreti del cuore.

Allora l’animo si dispone per essere gradito a Colui che gli è presente, lo vede e previene tutti i suoi pensieri, poiché egli è colui che scruta i cuori e sonda le reni. Anche qualora nessun altro vantaggio potesse ricavare chi dispone così la sua mente a pregare, è ovvio che un tale atteggiamento porta frutti non trascurabili. Quando poi una simile condotta è frequente, quanti peccati siano evitati e quante buone azioni compiute lo sanno per esperienza coloro che spesso si sono dedicati alla preghiera seguendo tale linea.

Le Scritture confermano quanto si è venuto dicendo. Occorre che l’orante elevi mani pure, perdoni ad ognuno di quelli che l’hanno offeso, elimini tutto quanto disturba il suo animo e non si irriti contro nessuno. Perché poi nessun pensiero estraneo gli appesantisca la mente, sarà bene che nel tempo della preghiera egli dimentichi quanto ad essa non appartiene. Chi dubiterà che un simile stato d’animo non sia il più favorevole? Lo insegna Paolo stesso: Voglio che gli uomini preghino, dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese (1Tm2,8).

 

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