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Letture della preghiera notturna dei certosini

 

   

 

18 ottobre

SAN LUCA apostolo evangelista

 

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Dai Discorsi di san Pier Dami L Sermo 53. PL 144,800‑806.

 

Il mondo, cari fratelli, è passato dalle tenebre alla luce grazie al vangelo. Per questa ragione il popolo cristiano celebra la gloria degli evangelisti e questo discorso sarà dedicato a san Luca, uno di essi.

Luca ha tracciato la storia evangelica e apostolica in un duplice stile, l'umano e il divino. Egli ha arricchito di numerosi frutti il campo della Chiesa, perché il popolo possa vivere e il gregge di Cristo trovi rigogliosi pascoli di salvezza.

Quali sono la dignità e l'eccellenza di san Luca? Possiamo coglierle chiaramente da questo fatto: Marco fu istruito da Pietro. Come Matteo e Giovanni, egli scrisse un vangelo, dopo aver conosciuto sulla terra la storia del Redentore. Invece Luca è l'unico ad aver scritto un vangelo per cosi dire sceso dal cielo.

Lo Spirito Santo, infatti, rivelò a Paolo questo vangelo, e, per sua mediazione, Cristo lo fece conoscere a Luca.

Ecco perché Paolo afferma: Voi cercate una prova che Cristo parla in me.1.( 2 Cor 13,3 )

Dal cielo, Cristo effuse su Paolo i misteri della sua storia, poi li travasò in Luca attraverso un canale d'oro, per cui l'oracolo divino, riferito da Isaia, si addice perfettamente a questo santo: A Sion e a Gerusalemme ho inviato un messaggero di cose liete. 2.( Is 41,27 )

 

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Matteo conobbe il vangelo direttamente dalle labbra del Signore, durante la vita terrena di lui; Luca invece lo ricevette dal cielo. Non dipende dunque dal caso, ma dal magistero dello Spirito Santo se Matteo enumera quaranta generazioni in linea discendente, mentre Luca menziona settantasette generazioni in linea ascendente.

La storia della nostra redenzione è cosi ripartita tra i due evangelisti, i quali hanno preso per sé la parte che gli andava bene.

Matteo, descrivendo l'albero genealogico in discendenza mostra Cristo che viene dal cielo fino a noi, peccatori. Luca, risalendo dal mistero del battesimo fino al Padre, mostra Cristo che ci lava dalle brutture dei peccati e ci trae con sé nella gloria del cielo.

Il primo sottolinea che Cristo scese in terra per misericordia, il secondo proclama che il Signore ci eleva alle realtà celesti.

Matteo mostra il pastore che lascia nei pascoli del deserto le novantanove pecore, Luca insegna che Gesù si è caricato sulle spalle la pecora perduta.

Il primo attesta che il,medico è sceso accanto ai malati, il secondo dimostra che ci ha guariti e ricondotti con sé verso le gioie dei secoli incorruttibili.

Matteo mostra il Figlio unigenito mandato a noi dal Padre, Luca insegna che il Figlio ha trasferito nella patria del cielo una folla di eletti.

 

3

 

Il beato apostolo Paolo ha condensato in una frase le intenzioni dei due evangelisti, quando ha detto: Mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato. Dio ha condannato il peccato nella carne.3( Rm 8,3 ) Nel sottolineare la missione del Figlio nella nostra condizione umana e peccatrice, l'Apostolo dimostra che Cristo ha assunto la nostra mortalità, ciò che apertamente dichiara Matteo quando enumera le quaranta generazioni partendo da Abramo.

Quando Paolo soggiunge che il Figlio fu mandato per vincere il peccato nell'uomo carnale, indica l'abolizione dei peccati che Luca sicuramente esprime tracciando la genealogia delle settantasette generazioni.

Paolo riassume le due formule in un versetto, dicendo che Gesù, nostro Signore e stato messo a morte per i nostri peccati ed e stato risuscitato per la nostra giustificazione."4.( Rm 4,25 ) Cristo, infatti, è disceso per sottrarci al potere del peccato, ed è risuscitato per generare in noi un cuore puro mediante il fulgore della sua giustizia.

 

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La genealogia, sia in Matteo sia in Luca, fa. risaltare un contrasto significativo. Matteo la fa passare per Salomone, la cui madre commise adulterio con Davide. Luca, al contrario, la fa passare per Natan, il cui omonimo profeta fu lo strumento del Signore per far espiare a Davide il suo crimine. Dopo essere caduto, Davide fu infatti rialzato dalla misericordia divina.

Matteo ci insegna così che il Figlio di Dio si è chinato umilmente fino a noi, mentre Luca ne proclama l'esaltazione al cielo in una gloria trionfale che ingloba anche noi umani. Cristo è sceso fino agli uomini che giacevano a terra, per elevarli vittoriosi con sé, fino alle stelle.

Possiamo scorgere un segno del cielo persino nel nome del nostro evangelista, dato che in ebraico Luca significa "colui che si alza tradotto in latino come "colui che innalza". Quanto perciò avrebbe scritto sul Salvatore era prefigurato dal suo nome, dal momento che il Redentore, levandosi dai morti, ci ha risuscitati ed elevati fino al cielo.

 

5

 

Le genealogie di Matteo e di Luca non tralasciano che il nostro Redentore è vero re e vero sacerdote. Matteo descrive la sua genealogia regale, mentre Luca ne indica la dignità sacerdotale lungo tutto il percorso del suo libro.

Nel raccontare le varie fasi della storia del Signore, Luca tratta più di una volta dell'ufficio sacerdotale e non si scosta mai da quanto riguarda il sacerdozio. Egli parla dell'ufficio assegnato al sacerdote, della sua famiglia, della sua classe, del sacrificio, del tempio, e tra i numerosi elementi che inserisce nella storia sacra, non perde di vista l'intenzione di parlare del sacerdozio.

Notate l'inizio della sua narrazione; non dice forse:

Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abia, e aveva in moglie una discendente di Aronne ? 5.( Lc 1,5 )

Poi Luca fa comparire Zaccaria che offre l'incenso davanti all'altare; un po' più in là, conduce la Vergine Maria da Elisabetta, presso la casa di questo sacerdote. Luca e i unico evangelista che ci riferisce i tre cantici che dovevano cantarsi nella liturgia della Chiesa: il primo è quello di Zaccaria, il secondo quello di Maria, il terzo quello di Simeone.

 

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Sempre interessato al tema del sacerdozio, Luca ci e riferisce la presentazione del Signore al tempio, quaranta giorni dopo la sua nascita, accompagnato dalla Madre.

Poi ce lo mostra quando a dodici anni è seduto nel tempio in mezzo ai dottori. A tal proposito l'evangelista narra che i genitori di Gesu avevano l'abitudine di salire tutti gli anni a Gerusalemme a pregare per la festa di Pasqua.

Ascoltate come termina il vangelo lucano: Essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio. 6.( Lc 24,52‑53 )

San Luca è rappresentato con il simbolo del bue, secondo l'iconografia descritta in Ezechiele e nell'Apocalisse. Ora, nel tempio, l'offerta abituale era quella di un bue. Questo simbolo connota molto bene Luca, perché egli ara il terreno del nostro cuore con il vomere della sua lingua sacra e lo feconda gettandovi la semenza evangelica che porterà frutti di vita.

 

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Luca ci ha lasciato scritta la documentazione delle fatiche e degli atti degli Apostoli, a cui collaborò di persona. Egli ha scritto pure l'Evangelo, ricevuto dal cielo come un rotolo sigillato contenente un grande tesoro. Sicché la profezia di Isaia può essergli applicata alla perfezione: Per voi ogni visione sarà come la parola di un libro sigillato: si da a uno che sappia leggere dicendogli: "Leggilo", ma quegli risponde: "Non posso. perché sigillato. 7.( Is 29,11 )

Che libro è questo volume sigillato se non il santo vangelo? Esso è circondato da figure misteriose, che superano nettamente la comprensione della mente umana per lontananza di arcane profondità. Si deve certamente trattare del libro di cui parla Giovanni nell'Apocalisse: Vidi nella mano destra di Colui che era assiso sul trono un libro a forma di rotolo, scritto sul lato interno e su quello esterno. sigillato con sette sigilli. 8.( Ap 5, 1 ) E quali sono i sigilli che chiudono il libro dei Vangeli?

Si tratta dei sette misteri del Salvatore che costituiscono l'economia salvifica voluta da Dio: l'incarnazione, la natività, la passione, la risurrezione, l'ascensione al cielo, l'ultimo giudizio e infine il Regno.

L'evangelo fu sigillato perché nessuno potesse aprirlo, tranne il Signore, come sta scritto: Ecco, ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide; egli dunque aprirà il libro i suoi sette sigilli.9.( Ap 5, 5 )

 

8

 

Negli Atti degli Apostoli, Luca narra una semplice storia. Potremmo dire che egli allatta la tenera infanzia della Chiesa nascente. Notate che Luca è medico, per cui la storia che riferisce è precisamente un farmaco per le anime inferme.

Il nostro scrittore racconta in modo molto lineare la vita della Chiesa primitiva e ci invita a seguire direttamente il medesimo percorso. Cerchiamo, perciò, secondo le nostre forze, di vivere come i primi cristiani, affinché la purezza, che scaturisce dalla fonte originaria, si mantenga intatta lungo tutto il percorso ecclesiale sino alla foce.

Il vangelo di Luca è infatti uno dei quattro fiumi del paradiso, che irriga con l'abbondanza della sua dottrina l'intero orbe terrestre. Isaia parla delle acque di questo fiume, dicendo: Scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si muterà in sorgenti d'acqua.10. .( Is 35,6 )

Facciamo ritorno, dilettissimi, all'innocenza della Chiesa primitiva. Impariamo ad abbandonare i nostri beni, a bearci nella semplicità di una povertà regale. Non lasciamoci curvare a terra dal peso dei possedimenti terreni, giacché il Re del cielo ci invita alla gloria della Gerusalemme celeste.

 

 

 

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Dal vangelo secondo Luca.

10,1‑9

Il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.

 

Omelia di san Gregorio Magno su questo vangelo. Homilia XVII,3‑7 in Evangelium. PL 76,1139‑1142.

 

Fratelli, voi dovete pregare per noi, i predicatori, perché la nostra opera sia feconda. Pregate che la nostra lingua non si intorpidisca, quando invece ha assunto il ministero della predicazione, e perché il fatto di aver taciuto non ci condanni presso il giusto giudice.

Capita spesso che la lingua dei predicatori si inceppi sia a causa dei loro difetti personali sia per colpa dei fedeli.

Il proprio peccato può rendere muto il predicatore, secondo la parola del salmista: All'empio dice Dio: "Perché vai ripetendo i miei decreti?". 1.( Sal 49,16 )

Ma la voce del predicatore può ugualmente spegnersi per colpa dei fedeli, come il Signore ha detto a Ezechiele: Ti farò aderire la lingua al palato e resterai muto: cosi non sarai più per loro uno che li rimprovera, perché sono una genia di ribelli. 2.( Ez 3,26 ) Come se Dio chiaramente dicesse: "Ti tolgo la parola per predicare, poiché questo popolo mi esaspera con il suo agire; esso non è degno di venire esortato alla verità".

Non è facile perciò sapere per colpa di chi il predicatore perda la possibilità di parlare. Sta di fatto che il silenzio del pastore a volte fa male a lui, ma al popolo nuoce sempre.

 

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Siamo mandati come agnelli tra lupi, perché un'innocenza consapevole ci preservi dal morso della malvagità. Chi assume il compito di predicare, non deve suscitare il male, ma sopportarlo, rimanendone magari ferito. La sua mansuetudine mitigherà il furore di chi lo attacca e guarirà le piaghe dei peccatori.

Se talora, per zelo di bene, il predicatore infierisse contro certi fedeli, il suo sdegno nasca da amore, non da crudeltà. Cosi, mentre all'esterno fa valere la disciplina, nell'intimo amerà con affetto paterno quelli che sferza. Sono doveri che il superiore compie bene quando non ama sé stesso per tornaconto personale, non ha nessuna bramosia mondana e non si lascia assoggettare dall'ansia del possesso.

Non portate borsa., né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada, ci dice il vangelo. Il predicatore deve avere tanta fiducia in Dio, da non angustiarsi per la gestione della vita presente, nella certezza assoluta che nulla verrà a mancargli. Altrimenti, l'assillo per le cose materiali lo lascerebbe meno libero di procurare agli altri i beni eterni.

 

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In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritome su di voi.

La pace offerta dal predicatore rimane nella casa se vi è un figlio di pace; in caso contrario, ritorna al predicatore. Infatti o vi sarà qualcuno predestinato alla vita eterna che, ascoltando la parola divina, la mette in pratica; oppure nessuno avrà voluto ascoltarla.

Il predicatore, comunque, non rimane mai senza frutto, perché il Signore ricompensa la fatica del suo lavoro, facendo tornare a lui la pace.

Ecco poi che il Signore proibisce di portare borsa o bisaccia, mentre autorizza a vivere con i frutti ricavati dalla predicazione: Restate in quella casa. mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio e degno della sua mercede. Se in una casa la pace è stata accolta, è giusto che il predicatore vi rimanga mangiando e bevendo, perché così riceve un salario terreno in cambio dei beni della patria celeste da lui offerti a chi lo ha ospitato.

 

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Il Signore afferma che l'operaio é degno della sua mercede, intendendo che gli alimenti necessari alla vita sono parte della ricompensa per l'evangelizzazione. Iniziata già fin d'ora, questa ricompensa avrà compimento nel giorno eterno con la visione della verità.

Notiamo qui che i nostri atti sono doppiamente retribuiti: sia nel pellegrinaggio terreno, sia nella patria celeste. La prima ricompensa sostiene nella fatica, la seconda ci colmerà alla risurrezione finale.

La mercede che riceviamo nella vita presente deve spingerci a tendere con più energia verso la ricompensa futura. Il predicatore autentico non deve parlare per ricevere beni terreni; tuttavia, li accoglie per poter vivere e predicare.

Chiunque annunziasse il vangelo per riceverne applausi e onori, comprometterebbe senza dubbio la sua ricompensa eterna.

Al contrario, c'è il predicatore che si studia d'attirare l'attenzione con un dire elegante e piacevole, non per autoglorificazione ma allo scopo di far amare Dio; oppure egli accetta un compenso, perché la miseria non spenga la sua voce. Costoro non pongono nessun ostacolo alla ricompensa nella patria celeste, perché durante l'esodo terreno hanno unicamente percepito il necessario.

 

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