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Letture della preghiera notturna dei certosini

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17 novembre

 

SAN’UGO DI LINCOLN monaco pastore

 

1

 

Dalla "Vita di sant'Ugo di Lincoln", scritta da Adamo il Certosino.

 

Sancti Hugonis Vita, I,6.9; II,3;IV,11;V,7.8.22 PL 153,951‑952.956. 959.966.1024.1043‑1045.1047‑1048.1088‑1089

 

Ugo d'Avallon faceva parte dei canonici di Villard‑Bonnot, nel Delfinato, dove era entrato giovanissimo. Per opinione generale egli aveva raggiunto una gran perfezione nell'esercizio delle virtù, ben superiore alla sua giovane età.

Ma Ugo pensava di non essere neppure all'inizio della santità, ossia della conversione.

Venne a conoscenza dei monaci certosini e ne concepì somma stima, struggendosi senza posa per il desiderio di modellare la propria esistenza su quella forma di vita.

Sulle prime tenne nascosto l'ardore di siffatta aspirazione e s'ingegnò di incontrare quei monaci e di guadagnarsene l'affetto.

Difatti ci riuscì e allora esplose in lui un tale amore per quella vocazione, da non poter più soffocare l'incendio scoppiatogli in cuore.

In preda a quella fiamma beata, sperimentava quanto avesse ragione quell'amante infelice nel dire: "Il fuoco coperto tanto più avvampa quanto più è nascosto". 1

Nel contemplare la Certosa, Ugo era colto da ammirazione: gli pareva che quel luogo si elevasse più alto delle nubi, fino a toccare il cielo, lontano com'era dalle inquietudini terrene.

 

2

 

Ugo era affascinato dal quadro di vita offerto in Certosa per attendere a Dio solo: come ausilio potente a questa divina attività c'era una gran ricchezza di libri, abbinata a copiosa possibilità di lettura e all'indisturbata quiete per l'orazione. Ma più che la disposizione del monastero, attiravano i monaci: il loro corpo austero, la mente serena, il cuore libero, la letizia del volto e la purezza del dire.

La regola invitava i monaci alla solitudine, ma non all'eccentricità; le celle erano separate, i cuori uniti. Ognuno abitava da solo, senza possedere nulla in proprio e nulla facendo per spirito d'indipendenza. Pur restando in solitudine, tutti costituivano una comunità: vivendo da solitario, ogni monaco non inciampava negli svantaggi del contesto sociale, benché una certa vita comune gli garantisse il conforto dei fratelli.

Questi e altri aspetti piacevano a Ugo, ma soprattutto egli apprezzava il sicuro baluardo dell'obbedienza (senza di cui molti eremiti sono lasciati a se stessi, esposti a eccessivi pericoli); perciò quella vita lo seduceva, anzi lo estasiava.

 

3

 

Vi erano in Certosa, allora come sempre, uomini egregi, sia padri sia fratelli, testimoni forti e veri del vangelo, giustamente stimati dai principi e dai prelati della Chiesa. Difficilmente si sarebbe potuto stabilire fra loro una graduatoria del fervore o dei meriti. L'ascesi corporale era rigorosa, ma non minore la discrezione; ognuno si teneva nel giusto mezzo, mai pago di uno sforzo inferiore alle sue possibilità, ma nemmeno andando oltre le proprie forze.

Negli Atti pontificali per la canonizzazione di sant'Ugo leggiamo: ''L'ordine certosino spicca sugli altri, perché ha imposto una misura alle voglie disordinate.'' 2

Fin dai primi mesi Ugo progredì a grandi passi. La sua bella intelligenza si trovò favorita dall'agio che la cella offre per le attività dello spirito e stimolata dall'aiuto costante e fraterno della comunità. Cosi crebbe in lui l'amore di imparare dai libri e dai maestri. Giorno e notte attendeva con gioia agli studi e solo la brevità del tempo gli era un ostacolo. L'arco di un'intera giornata non gli bastava per applicarsi quanto avrebbe voluto a leggere, a meditare, a pregare.

 

4

 

Ugo trascorse cosi circa dieci anni entro la quiete del suo nido, nella totale amputazione dal mondo. Aveva messo ali vigorose ed era pronto per spiccare il volo.

Il priore lo nominò allora procuratore della casa, sebbene Ugo avesse tentato il possibile per esimersi da quella carica. Egli governò con maestria la famiglia che gli era stata affidata, formando con cura i fratelli. Aveva preso come massima un detto di sant'Onorato di Arles che amava citare spesso: "Sempre dovrai scuotere dal torpore gli indolenti e riportare alla quiete i troppo zelanti". 3

Il Signore benedisse la casa, che prospero in ogni abbondanza di beni. Chi veniva da Ugo per affari temporali ripartiva infiammato per i beni eterni, e chi giungeva libero da preoccupazioni materiali, riceveva dal nostro Procuratore consigli cosi validi da meritare l'ammirazione dei sapienti del mondo.

 

5

 

Un bel giorno arrivarono dei messi del Re d'Inghilterra per condurre Ugo a Witham, a fondarvi la prima Certosa del regno. Davanti alla preghiere e alle insistenti ragioni degli inviati regi, la comunità vinta si arrese.

Spinto ad acconsentire, Ugo ricorse all'unica possibilità: rimettere al priore la decisione. Sapeva bene che molto a stento il superiore avrebbe imposto un tale ordine, poiché lo amava come la pupilla dei suoi occhi e per nessun motivo avrebbe voluto allontanarlo da se.

Al dire di chi fu presente, il priore, sotto il fuoco dei moniti del vescovo di Grenoble e delle preghiere accorate di tutti, avrebbe risposto: "Dio m'è testimone: non uscirà mai dalla mia bocca il comando che Ugo abbandoni la mia vecchiaia e immerga nel lutto la Certosa, privandola della sua presenza necessaria e amatissima".

Ma tutti incalzarono talmente che alla fine il priore non ebbe più via di scampo. Si rivolse al vescovo, dicendogli: "Confermo quello che ho detto. La mia parola o la mia volontà non potranno mai allontanare Ugo da me. Veditela tu: sei il nostro vescovo, il nostro padre e il nostro fratello. Se gli ingiungi l'ordine di partire, non opporrò resistenza".

 

6

 

Alcuni anni più tardi, Ugo divenne vescovo di Lincoln. Quando, dopo un lungo viaggio, poteva ritornare al suo amato deserto della certosa di Witham, appena entrava in quella regione tanto solitaria, si trasfigurava. Il suo volto acquistava un insolito roseo colorito, al punto da accordarsi con la tinta purpurea delle sue vesti episcopali. Come molte volte confessò agli amici, appena scorgeva all'orizzonte la Certosa, si sentiva pervadere nell'intimo da un ineffabile gaudio spirituale.

Finché poteva trattenersi a Witham, riceveva dal Signore la grazia di un rinnovamento profondo di tutto l'essere.

Si notava in lui una repentina trasformazione, interna ed esterna, come aquila che rinnova la sua giovinezza.

Svestiva allora il pallio che soleva indossare in

pubblico, fatto di panno violaceo, foderato di candida pelliccia d'agnello, e indossava una t'unica e una pelle di montone, priva di lana; sulla carne portava il cilicio. L'arredo del letto consisteva in un panno grossolano, un guanciale e delle pelli di montone.

 

7

 

Nell'assemblea generale di Oxford,sant'Ugo osò energiecamente rifiutare gli aiuti bellici richiesti dal re Riccardo. "lo non ignoro egli disse che il vescovo di Lincoln è tenuto a fornire al suo re e signore un contingente di uomini armati, ma soltanto sul nostro territorio; fuori dell'Inghilterra tu non puoi chiedermi nulla".

Il re, ottenendo sempre lo stesso diniego dopo rinnovate ambascerie, fu colto da ira violenta e ordinò l'immediata confisca di tutti i beni del vescovo renitente. Ma non si trovò chi avesse il coraggio di eseguire il mandato; temevano tutti di offendere il vescovo e d'incorrere nella scomunica, che li atterriva peggio del supplizio capitale.

Sant'Ugo si presentò allora al re e in brevi perentorie parole difese la sua causa: di fronte alla collera ingiustificata di Riccardo, addusse evidenti ragioni in ordine alla propria ineccepibile condotta. Al re non rimase possibilità di replica; anzi elogio pubblicamente davanti alla corte la forza d'animo dell'uomo di Dio con queste parole: "Se tutti i vescovi fossero come Ugo di Lincoln nessun principe o re oserebbe alzare la testa contro di loro".

 

8

 

Mentre era in viaggio per le Gallie il vescovo di Lincoln si recò a visitare quattro Case del suo Ordine: la Gran Certosa, Arvières, Lugny e Val San Pietro. Arvières, situata fra i monti, era di accesso difficile e piuttosto staccata dall'itinerario dell'uomo di Dio. Ma Ugo vi si recò per un motivo speciale.

Colui che un tempo era stato vescovo di Belley e priore di quella casa, 4 aveva ormai abbandonato l'onere della cura pastorale, ed era ritornato semplice monaco in cella, per dedicarsi con maggiore libertà a desideri di cielo.

Da molto bramava rivedere il vescovo di Lincooln, per trovare conforto dalle sue parole e dalla sua presenza e glielo aveva fatto sapere più volte. Infatti quel santo monaco, di età avanzata e al tramonto dei giorni mortali, sospirava il giorno che non ha fine. Analoghe aspirazioni portava in cuore il nostro Vescovo, benché non analoga fosse l'età. Le realtà effimere,che fin da giovanissimo Ugo aveva sdegnato, ora gli erano quasi insopportabili.

Eccoli entrambi intrattenersi finalmente nell'auspicato colloquio. Si svelano entrambi i sentimenti più intimi e alla luce della santità dell'altro, ciascuno riesce a cogliere meglio il fondo del proprio cuore.

 

9

 

Dal vangelo secondo Giovanni.

17,1-11

Prima di passare da questo mondo al Padre, alzati gli occhi al cielo, Gesù disse: "Padre, questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo".

 

Dall'Enciclica "Magnae Dei Matris" di Leone XIII.

 

Magnae Dei Matris, 8 settembre 1892. AAS,XXV,1892,pp.142‑145.

 

Soprattutto grazie alla fede l'uomo si avvicina a Dio in modo diretto e sicuro, e impara ad adorare, con la mente e col cuore, l'immensa maestà di quest'unico Dio, la sua autorità sopra ogni cosa, la sua somma potenza, la sua sapienza, la sua provvidenza. Chi infatti s'accosta a Dio deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano.1( Eb 11,6 )

Il Figlio di Dio ha assunto la natura umana, è vissuto in mezzo a noi e continua ad esserci via, verità e vita. Perciò è necessario che la nostra fede abbracci i profondi misteri della Trinità e dell'Incarnazione del Figlio unigenito. Infatti questa e la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio. e colui che hai mandato, Gesù Cristo.

Dio ci ha dato un beneficio inestimabile quando ci ha donato la fede. Grazie ad essa non solo ci innalziamo sopra tutto l'umano, fino a poter contemplare la sua natura divina e ad esserne partecipi, ma acquistiamo anche la capacità di meritare le più alte ricompense eterne.

Da qui si nutre e si rinsalda la nostra speranza di poter un giorno contemplare Dio non attraverso le pallide immagini delle realtà create, ma nel suo pieno splendore, godendo in eterno di lui, nostro sommo bene.

 

10

 

La fede se non ha le opere, è morta in se stessa,2.( Gc 2,17 ) perché la fede trae vita dalla carità, e la carità si manifesta in una fioritura di azioni sante. Il cristiano perciò non trarrà nessun profitto dalla sua fede in merito alla vita eterna, se questa sua fede non avrà ispirato la sua condotta. Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede potrà salvarlo?3.( Gc 2,14 )

 Nel giorno del giudizio, Cristo lo rimprovererà più aspramente di quei miseri che non conoscono ne la fede ne la morale cristiana. Questi ultimi hanno almeno l'attenuante di essere privi della luce del vangelo, mentre quelli che credono in un modo e vivono in un altro, commettono una colpa più grave.

La contemplazione dei misteri giova a far sbocciare dalla fede abbondante e lieta messe di frutti, perché stimola meravigliosamente l'anima a propositi di virtù. Ora, l'opera di salvezza compiuta da nostro Signore Gesù Cristo è il modello più alto e luminoso offerto alla nostra contemplazione.

 

 

11

 

Il grande e onnipotente Iddio, spinto da un eccesso d'amore per noi, si abbassa sino alla condizione del più misero uomo.

Eccolo vivere in mezzo a noi, come uno di noi; conversa fraternamente, predica la giustizia sia agli individui sia alle folle, maestro eminente per la sua parola e Dio per la sua autorità.

Si mostra prodigo di benefici verso tutti; guarisce coloro che soffrono di malattie corporali, e con paterna misericordia porta sollievo alle malattie più gravi dell'anima.

In modo particolare egli si rivolge a quelli che sono sfiniti dal dolore o gemono sotto il peso dell'angoscia, e li invita

: Venite a me., voi tutti, che siete affaticati e oppressi. e io viristorerò. 4.( Mt 11,28 )

Quando poi riposiamo nelle sue braccia, egli ci ispira qualcosa di quel mistico fuoco che è venuto a portare agli uomini. Ci infonde amorevolmente qualcosa della mansuetudine e dell'umiltà del suo animo; desidera che per la pratica di tali virtù diventiamo partecipi della pace vera e stabile, di cui egli è l'autore. Ci dice infatti: Imparate da me. che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 5.( Mt 11,29 )

 

12

 

Cristo ha gratificato gli uomini di abbondanti benefici e li ha illuminati con la sapienza celeste. Ma in compenso, invece di ricevere la loro riconoscenza, ha subito l'odio e gli insulti più atroci. Eppure quando, confitto in, croce, versa tutto il suo sangue, non ha desiderio più ardente di questo: con la propria morte rigenerare gli uomini alla vita.

Non e assolutamente possibile che uno consideri e contempli attentamente queste testimonianze d'amore del Redentore divino, senza ardere di viva riconoscenza per lui. Anzi la fede, se sarà fede autentica, saprà illuminare la mente dell'uomo e commuovere il suo cuore, al punto da trascinarlo a seguire le tracce di Cristo, attraverso tutti gli ostacoli. Allora l'uomo potrà far sue le parole dell'a­

postolo Paolo: Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità il pericolo., la spada? 5 Non sono più io che vivo., ma Cristo vive

la fame, la nudità il pericolo la spada ? 6 .( Rm 8,35 )

Non sono più io che vivo in Cristo ma è Cristo che vive in me . 7.( Gal 2,20 )

 

 

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