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Letture della preghiera notturna dei certosini

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  Anno A

 

Seconda  Domenica di Pasqua

 

Domenica in Albis

 

1

Dai Discorsi di san Leone Magno.

Sermo LXXI, 1-5, De resurrectione Domini, I. PL 54,387-390.

 

     Con la pratica quaresimale abbiamo voluto impegnarci in quella osservanza così da sperimentare qualcosa del mistero della croce nel tempo della passione del Signore; ora dobbiamo compiere ogni sforzo per trovarci partecipi della risurrezione di Cristo, passando così dalla morte alla vita mentre siamo ancora in questo corpo.

     Per chiunque passi da un modo di vivere a un altro, qualunque sia la sua trasformazione, lo scopo non è quello di rimanere ciò che era, ma di rinascere quale non era.

     Fondamentale, però, è conoscere per chi si vive o si muore: perché vi è una morte che è fonte di vita, e una vita che è causa di morte. E solo nel tempo presente si può scegliere l'una o l'altra: dalla natura delle azioni compiute in questa vita che passa, dipende una differente retribuzione per l'eternità.

     Si deve perciò morire al diavolo e vivere per Dio; venir meno al male per risorgere alla giustizia. E poiché, come dice la stessa Verità, nessuno può servire a due padroni, il Signore non sia per noi colui che abbatte i superbi, ma piuttosto colui che esalta gli umili alla gloria.

 

2

 

     Dice l'Apostolo: Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo. Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste. Dobbiamo gioire grandemente di questa trasformazione, per cui passiamo dalla ignobile condizione terrena alla dignità celeste, per ineffabile misericordia di colui che, per elevarci a sé discese fino a noi: e discese al punto da assumere non solo l'umana sostanza, ma anche la condizione di natura soggetta al peccato, accettando anche che la divina impassibilità patisse nella sua persona ciò che per intrinseca miseria sperimenta l'umana mortalità.

     Perché l'animo già turbato dei discepoli non provasse il tormento di un dolore prolungato, il Signore seppe abbreviare il tempo dei tre giorni predetti; aggiunse al secondo giorno intero l'ultima parte del primo e una frazione del terzo, in modo da ridurre l'intervallo di tempo senza intaccare il numero dei giorni.

 

3

 

     La risurrezione del Salvatore non trattenne la sua anima agli inferi né il suo corpo nel sepolcro; tanto rapido fu il ritorno della vita in quel corpo incorrotto, che sembrò trattarsi più di sopore che di morte. La divinità, che non si era allontanata dai due elementi dell'uomo che aveva assunto, riunì con la sua potenza ciò che con la stessa potenza aveva separato.

     Seguirono poi numerose prove, atte a stabilire l'autorità della fede, che doveva essere diffusa in tutto il mondo. Già il rovesciamento della pietra, il vuoto del sepolcro, l'abbandono dei lenzuoli, nonché il racconto dell'avvenimento fatto dagli angeli dimostravano ampiamente la realtà della risurrezione del Signore. Tuttavia questi si manifestò e apparve allo sguardo delle donne e, a più riprese, a quello degli apostoli: con essi non solo parlò, ma abitò e sedette a mensa, lasciandosi anzi palpare e toccare minuziosamente dalla curiosità di chi persisteva nel dubbio.

 

4

 

     Il Signore si recava dai discepoli entrando a porte chiuse e, soffiando su di essi, comunicava lo Spirito Santo; rischiarando la loro mente, rivelava i segreti delle Sacre Scritture e mostrava ancora la ferita del costato, le trafitture provocate dai chiodi, tutti insomma i segni della sua recente passione. Così avrebbero potuto rendersi conto che in lui le proprietà della natura divina e della natura umana rimanevano ben distinte. E noi, ben sapendo come il Verbo non si identifica con la carne, avremmo potuto riconoscere che l'unico Figlio di Dio è insieme Verbo e carne.

     Non contraddice a questa fede, o miei cari, la parola dell'apostolo Paolo, il dottore delle genti: Anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. Infatti la risurrezione del Signore non ha distrutto la sua carne, ma l'ha trasformata, né l'accresciuta potenza ha consumato la sua struttura fisica.

 

5

 

     La trasformazione di Cristo dopo la risurrezione ha interessato le qualità senza che la sua natura umana venisse meno: quel corpo già soggetto alla crocifissione, è divenuto incapace di patire; già soggetto alla morte, è divenuto immortale; già soggetto ai ferimenti, è divenuto incorruttibile. È giusto dire dunque che non si può conoscere la carne di Cristo nella condizione in cui precedentemente era nota: nulla è in essa rimasto di soggetto a patimenti e debolezza; è rimasta identica nella sua essenza, ma non tale nella sua gloria.

     Fa forse meraviglia una simile affermazione a proposito del corpo di Cristo, se lo stesso Paolo di tutti i cristiani che vivono secondo lo spirito dice: Ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne? La nostra risurrezione in Cristo - egli vuol dire - ha avuto inizio precisamente dal fatto che in colui che è morto per tutti si è già realizzato in pieno l'ideale della nostra speranza. Quindi noi non siamo esitanti o dubbiosi, non rimaniamo perplessi nell'incertezza dell'attesa; avendo invece già ricevuto l'anticipo della promessa, siamo in grado di vedere con l'occhio della fede quel che sarà il nostro futuro, e tutti lieti per l'elevazione della nostra natura, possediamo già quel che crediamo.

 

6

 

     Non dobbiamo lasciarci attirare dal fascino delle cose del mondo e la nostra contemplazione non deve deviare dalle realtà celesti al richiamo di quelle terrene. Quel che in massima parte più non esiste dobbiamo considerarlo sorpassato; lo spirito, aderendo alle realtà durature, là volga i suoi desideri dove quel che gli si offre è eterno. È vero senz'altro che noi non abbiamo che la speranza della salvezza e portiamo ancora una carne corruttibile e mortale; pure si può ben dire che non siamo nella carne, se non ci dominano le passioni carnali.

     In breve, è giusto che non portiamo più il nome di ciò di cui non seguiamo più le inclinazioni. E quando l'Apostolo dice: Non seguite la carne nei suoi desideri, non dobbiamo pensare che ci si proibisca quanto conviene alla salute o è richiesto dall'umana debolezza. Piuttosto, dato che non si deve cedere a tutti i desideri né soddisfare qualsiasi impulso, consideriamo che egli ci avverte della necessità di una ben regolata temperanza, dato che non dobbiamo piegarci a tutte le tendenze egoiste o soddisfare tutti i desideri istintivi.

     A questo corpo, che va governato dall'anima, non concediamo il superfluo e non neghiamo il necessario.

 

7

 

     Sempre san Paolo ci dice: Nessuno ha mai preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura.Evidentemente essa va nutrita e curata non per favorire il vizio e la lussuria, ma perché presti quel servizio a cui è tenuta. In tal modo la nostra natura rinnovata si manterrà nell'ordine, le sue facoltà inferiori non avranno ingiustamente un vergognoso sopravvento sulle facoltà superiori, né queste cederanno alle prime. Il vizio non trionferà nell'anima, né la schiavitù si stabilirà là dove dovrebbe essere il vero primato.         

     Riconosca il popolo di Dio che egli costituisce in Cristo una nuova creatura, e questa si renda conto esattamente di chi l'ha adottata o chi essa ha adottato. Quel che è stato rinnovato non deve tornare instabile come era prima; chi ha posto mano all'aratro non smetta il suo lavoro; badi anzi a quel che ha seminato, senza volgersi a quello che lasciò. Nessuno poi deve ricadere nello stato da cui si è sollevato; se, debole com'è il suo corpo, soffre ancora di qualche malanno, deve desiderare ardentemente la più completa guarigione.

 

8

 

     Questa è la strada della salvezza, questa la maniera di imitare la risurrezione iniziata in Cristo. Certo nel cammino insidioso della vita si verificano cadute e scivolamenti: bisogna allora indirizzare i propri passi dalle sabbie mobili alla terra ferma, poiché sta scritto che il Signore fa sicuri i passi dell'uomo e segue con amore il suo cammino. Se cade, non rimane a terra, perché il Signore lo tiene per mano. 

     Questa meditazione, miei cari, non va applicata solo alla festa di Pasqua, ma all'intera opera di santificazione della vita. L'attuale esercizio deve far sì che le pratiche che, pur di breve durata, hanno fatto la gioia delle anime fedeli, diventino abituali, rimangano integre, e ogni colpa sia cancellata con un pentimento immediato.

     Difficile e lunga è la cura delle malattie croniche, per cui con tanto maggiore sollecitudine bisogna applicare i rimedi, quanto più fresche sono le ferite. Così sollevandoci sempre, pienamente ristabiliti, dalle nostre cadute, potremo giungere all'incorruttibile risurrezione della carne che pure è destinata alla gloria, in Gesù Cristo nostro Signore.

 

9

 

Dal vangelo secondo Giovanni.

20,19-31

 

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!".

 

Dal trattato "Sulla Trinità" di sant'Ilario di Poitiers.

De Trinitate, III,20; VII,12.  PL 10,87-88. 209.

 

     Porgo ascolto al Signore e credo alle cose che sono state scritte. Perciò so che, subito dopo la risurrezione, Cristo spesso si offrì in corpo alla vista di molti ancora increduli. E precisamente si fece vedere a Tommaso, che non voleva credere se non avesse potuto toccare con mano le sue ferite, così come disse: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò. Il Signore si adatta alla nostra debole mente e, per chiarire i dubbi di chi non riesce a credere, opera un miracolo caratteristico della sua invisibile potenza.

     Tu che indaghi minuziosamente le realtà celesti, chiunque tu possa essere, spiegami il modo con cui avviene questo fatto. I discepoli erano in un ambiente chiuso e tutti quanti insieme tenevano una riunione in un luogo appartato. Ed ecco il Signore, per rendere ferma la fede di Tommaso, accetta la sfida, si presenta e offre la possibilità di palpare il suo corpo, di toccare con mano la sua ferita. Naturalmente, poiché doveva essere riconosciuto per le sue ferite, egli dovette mostrarsi con il corpo che aveva ricevuto le ferite.

 

10

 

     All'incredulo io domando attraverso quali parti dell'abitazione che era chiusa, Cristo, dotato di corpo com'era, poté penetrare. Con molta precisione l'Evangelista annota infatti: Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro. Forse che, penetrando nella struttura delle pareti e nella compattezza delle parti in legno, attraversò la loro natura impenetrabile? Infatti, eccolo lì in mezzo a loro con un corpo reale, non sotto apparenze simulate o false.

     Segui, dunque, con gli occhi della tua mente la via battuta da lui nel penetrare, accompagnalo con la vista dell'intelletto mentre entra nell'abitazione chiusa.

     Tutte le aperture sono intatte e sbarrate, ma ecco compare in mezzo colui al quale tutto è accessibile in virtù della sua potenza. Tu vai cavillando sui fatti invisibili, io a te domando la spiegazione di fatti visibili. Non viene meno in alcun modo la compattezza e il materiale ligneo e pietroso non lascia passare cosa alcuna attraverso gli elementi che lo compongono, per una specie di infiltrazione impercettibile. Il corpo del Signore non perde la sua natura fisica per poi riprenderla dal nulla: eppure di dove viene colui che si ferma in mezzo? A queste domande si arrendono pensiero e parola, e il fatto nella sua verità supera l'umana capacità di intendere.

 

11

 

     Tommaso esclama: Mio Signore e mio Dio! Dunque, colui che egli confessa come Dio è il suo Dio. Senza dubbio Tommaso non ignorava le parole del Signore: Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo.Come la fede di un Apostolo, professando Cristo come Dio, poté dimenticare il massimo precetto che ordina di vivere nella confessione dell'unità divina? Ma la potenza della risurrezione fece intendere all'Apostolo il mistero della fede nella sua pienezza. Già sovente egli aveva udito le parole di Gesù: Io e il Padre siamo una cosa sola. Tutto quello che il Padre possiede è mio. Io sono nel Padre e il Padre è in me. Ormai, senza pericolo per la fede, Tommaso può attribuire a Cristo il nome che designa la natura divina.

     La sua fede schietta non esclude di credere nell'unico Dio Padre proclamando la divinità del Figlio di Dio. Infatti, egli crede che il Figlio di Dio non possiede una natura diversa da quella del Padre.

     E la fede nell'unica natura non correva il rischio di trasformarsi in empia confessione di un secondo Dio, perché la perfetta nascita di Dio non aveva portato una seconda natura divina. Pertanto, fu con piena conoscenza della verità contenuta nel mistero evangelico che Tommaso confessò il suo Signore e il suo Dio. Qui non si tratta di un titolo d'onore, ma del riconoscimento della sua natura. Egli credette che Cristo era Dio nella piena realtà della sua sostanza e della sua potenza.

 

12

 

     Il Signore confermò che l'affermazione di Tommaso non era un semplice riconoscimento di onore, ma atto di fede, dicendo: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!

     Infatti, Tommaso credette perché vide. Ma tu mi puoi domandare: Che cosa ha creduto? Che cosa poté credere se non ciò che ha dichiarato: Mio Signore e mio Dio? Nessuna natura, se non quella divina, avrebbe potuto risorgere per propria virtù dalla morte alla vita; e la sicurezza di una fede ormai certa fa professare a Tommaso questa verità, cioè che è Dio.

     Non possiamo pensare che il nome Dio non indichi una natura reale. Infatti quel nome non è forse stato pronunziato in base a una fede nella natura divina fondata su prove? Sicuramente quel Figlio, devoto al Padre suo, che faceva non la sua volontà, ma quella di colui che lo aveva mandato e cercava non la propria gloria, ma quella di colui dal quale era venuto, avrebbe ricusato nei propri confronti l'onore implicito in un nome del genere, per non distruggere l'unità divina che aveva proclamato.

     Ma in realtà, egli conferma il mistero espresso dalla fede dell'Apostolo e accetta come suo il nome che indica la natura del Padre; così egli insegnò che erano beati coloro che, pur non avendo visto quando risorgeva dai morti, afferrando il senso della risurrezione avevano creduto che egli era Dio.

 

 

 

 

Letture della preghiera notturna dei certosini

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Anno C

Seconda  Domenica di Pasqua

Domenica in Albis

 

 

1

Dai Discorsi di sant'Agostino.

Sermo Guelferbytanus,12,1-3. PLS 11,568-572.

 

La risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo è lo specifico della fede cristiana. Noi crediamo che egli è uomo, nato dall'uomo in un dato momento
e Dio, nato da Dio fin dall'eternità. Nascendo in una carne mortale simile a quella del peccato, egli conobbe l'infanzia e i suoi umili inizi, passò per la giovinezza e giunse alla morte. Questo itinerario umano condusse il Signore alla risurrezione, giacché per risorgere bisognava che morisse e come avrebbe potuto morire senza prima essere nato? Perciò nascita e morte erano ordinate alla sua risurrezione.

Che il Signore sia uomo nato dall'uomo, molti "lontani", anche malvagi, lo credettero, pur ignorando la sua nascita verginale. Amici e nemici credettero che era uomo, che fu crocifisso e morì; però soltanto i suoi amici seppero che risuscitò, perché Cristo volle nascere e morire per risorgere, far così della risurrezione l'oggetto della nostra fede.

Nella nostra condizione umana conoscevamo soltanto due poli: nascita e morte.Per insegnarci uno stato a noi ignoto, Cristo ha assunto quello che conoscevamo.

 

2

 

In realtà solo una parte dell'universo è soggetta alla legge della nascita e della morte: il mondo celeste l'ignora, perché là tutto è definitivo. Certamente, il principe degli angeli decadde dalla sua dignità e fu precipitato in terra con i suoi; però sono subentrati gli uomini e hanno preso in cielo il posto di quelli.

Il diavolo intuì che l'uomo sarebbe stato destinato al cielo, da cui lui era stato bandito. Lo vide e lo invidiò. Così fece cadere l'uomo, come lui stesso era caduto. Ma importa poco che il demonio sia precipitato nell'abisso e vi abbia precipitato pure l'uomo, perché colui che ha vinto la morte non è caduto dal cielo: ne è disceso e si è fatto uomo.

Questo mondo, ove regnano la nascita e la morte, è una terra di miseria. eppure proprio qui gli uomini sperano la felicità: cercano l'eternità nel paese della morte. Ce lo dice il Signore, ce lo insegna la Verità: la felicità che cercate, non sta qui, perché non è di qui. E' bello vivere, è bene bramare la vita terrena, ma quaggiù nasciamo per morire.

 

3

 

E' venuto il Signore nostro Gesù Cristo ed è come se ci avesse parlato così: Di che cosa avevate paura, o uomini? Vi ho creato, ma non vi ho abbandonato. La creazione è opera mia, la caduta viene da voi. Perché avevate paura di morire? Ecco, muoio io; ecco, patisco io; ecco, quel che temevate non temetelo più, perché io vi faccio vedere quello che dovete sperare.

Cristo infatti si è mostrato a noi, risuscitato per l'eternità. Gli evangelisti ce lo certificarono nei loro scritti, e gli apostoli lo proclamarono su tutta la terra. I santi martiri non paventarono la morte, forti della loro fede nella risurrezione di Cristo. Temevano soltanto di rinnegarlo, giacché rinnegare Cristo è rinnegare la vita e quale follia sarebbe rinnegare la vera vita per amore della vita terrena!

La risurrezione di Cristo è determinante per la nostra fede. Ecco perché, l'Antico e il Nuovo Testamento ci invitano a pentirci e ad accogliere il perdono per la fede in Cristo, perché Dio ha dato a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti. (At 17.31)

 

4

 

Poiché bisogna morire,e non ci è neppure concesso di vivere a lungo (c'è appena il tempo per passare dall'infanzia alla vecchiaia), non ci resta che rifugiarci presso colui che è morto per noi e risorgendo ci ha donato la speranza. Poiché la morte è il traguardo della nostra corsa, e non possiamo rendere eterna questa vita che tanto amiamo, rifugiamoci presso colui che ci ha promesso l'eternità.Ecco fratelli, quanto il Signore ci promette: la vita eterna e beata. La nostra è davvero miserabile: lo sappiamo e va riconosciuto. Quanto c'è da fare e da sopportare, nostro malgrado! Liti, discordie, prove, incomprensioni, al punto che ci capita senza volerlo di abbracciare un nemico e temere l'amico. Ora fame e povertà, ora freddo, ora caldo, e poi stanchezza, malattia, rivalità... E' proprio una vita grama la nostra! Eppure se potesse farsi eterna, chi non se ne compiacerebbe, esclamando:

“Mi accontento di questa esistenza, pur di non morire”? Se desideri restare in questa misera vita, chi ti potrà dare quella eterna e beata? Però, se vuoi raggiungere la vita eterna e beata, comportati bene in questa esistenza fugace. Se essa sarà buona nelle opere, riceverà la ricompensa beata.

 

5

 

Da "La vita in Cristo" di Nicola Cabàsilas.

De vita in Cristo,VI,2. PG 150,645-648.

 

Chi ama possiede due mezzi per riportare vittoria: fare del bene all'amato secondo ogni modo possibile, o soffrire per lui atroci tormenti. Quest'ultima prova di amore è di gran lunga superiore alla prima. Ora, Dio era nell'impossibilità di soffrire, dato che è impassibile. Amico degli uomini com'è, Dio poteva colmare l'uomo dei suoi benefici, ma era incapace di patire piaghe e dolori per lui. All'amore infinito mancava il segno che lo manifestasse.

Eppure Dio non poteva più lasciarlo ignorato e nascosto. Per mostrarne l'immensità e per convincerci del suo amore estremo, escogitò il suo annientamento e si rese capace di soffrire mali e tormenti. Così, con tutto quello che avrebbe sopportato, Dio sarebbe stato in grado di testimoniare la straordinarietà del suo amore e avrebbe ricondotto a sé il genere umano. Infatti gli uomini lo fuggivano, credendosi l'oggetto della sua ostilità.

6

 

C’è ancora qualcosa di più sorprendente. Il Signore non subì soltanto i più atroci supplizi finendo col soccombere alle torture. Quando risuscitò, dopo aver strappato il corpo alla corruzione, conservò le piaghe e si presentò agli angeli coperto di cicatrici, come cinto di un ornamento e compiaciuto di mostrare ciò che aveva patito. Ormai il suo corpo glorioso si è spogliato di ogni pesantezza, senza più dimensioni, mutamenti o altre proprietà corporee; però ha voluto mantenere piaghe e cicatrici, stimando doverle proprio conservare per amore dell'uomo. Non l'ha forse ritrovato grazie alle proprie piaghe? Non ha forse preso di nuovo l'amato grazie alle sue trafitture? Altrimenti come spiegare la presenza sul suo corpo glorioso di quelle lesioni che la natura o la chirurgia pòssono far sparire sopra corpi mortali e corruttibli?

 

7

 

A quanto pare, il Signore avrebbe voluto soffrire molte volte per noi. Ma non era possibile, perché il suo corpo non era più soggetto alla corruzione. E poi voleva risparmiare agli uomini il delitto di tormentarlo ancora. Perciò stabili di conservare sopra di sé i segni della sua immolazione, di conservare in eterno il marchio delle ferite impresse una volta per sempre durante la crocifissione. Nel suo ineffabile splendore eterno, egli rimane il crocifisso che ha il costato trafitto per salvare gli schiavi, e le piaghe sono il suo regale ornamento.

A cosa paragonare un simile amore? L'uomo sarà mai capace di amare tanto? Quale madre è così tenera verso la sua creatura? Quale padre è così affettuoso con i propri figli? Un uomo giusto potrà mai dar prova di un amore cosi sragionevole al punto da sopportare i colpi di colui che ama, serbando intatta l'amicizia verso l'ingrato, e da stimare infinitamente preziose le ferite ricevute?

 

8

Non pago di amarci, il Signore ci tiene in grandissima stima. Il colmo dell'onore che ci fa è di non arrossire delle nostre debolezze fisiche e di sedere sul trono regale coperto di quelle piaghe che ne sono il retaggio. Dio non ha elevato in dignità la nostra natura a danno di chiunque sia, ma ci invita tutti alla corona celeste. Tutti ci ha liberati dalla schiavitù e gratificati della filiazione divina. A tutti apre il cielo e mostrando la via e il modo di volare, da anche le ali. Anzi, non ancora soddisfatto, lui stesso guida, sostiene e incita gli infingardi che siamo. Non è ancora tutto. La dedizione del Signore verso i suoi servi va oltre: egli non si accontenta di renderci partecipi dei suoi beni e di venirci in aiuto, ma consegna se stesso a noi. Cosi diveniamo tempio del Dio vivente e membra del corpo di Cristo, di cui i cherubini adorano il Capo. E le mani e i piedi di quel Corpo, ossia noi, vengono retti e dipendono dal Cuore divino.

 

 

 

9

 

Dal vangelo secondo Giovanni.

20,19-31

La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!".

 

Dal Discorso sulla Pasqua di san Basilio di Seleucia.

In sanctum Pascha, 2-4. PG 28,1083-1086.

 

Oggi i discepoli vedono Cristo risorto dai morti e questa nuova apparizione rafforza la loro fede nella risurrezione. Gesù entra a porte chiuse: colui che ha smantellato la muraglia infernale sa entrare nonostante gli usci sprangati, perché la volontà di Dio sospende le leggi della natura. Ancora ieri Gesù camminava sulle acque, senza che l'elemento liquido cedesse sotto i suoi piedi; egli calcava i flutti del mare che per lui diventava duro come il suolo. Gesù entra mentre le porte sono sbarrate. Eppure al momento della risurrezione rotolò la pietra tombale e aprì l'entrata del sepolcro. Così diventava manifesto che l'inferno subiva invisibilmente la medesima sorte della tomba visibile. Dal sepolcro aperto si arguiva che ben più demolite erano state le porte della morte. Bisognava che la tomba fosse spogliata al pari dell'inferno e il visibile apparisse abbandonato come l'invisibile. Quelli che dubitavano della risurrezione restano stupefatti al vedere Gesù che entra a porte chiuse. Questo nuovo prodigio è per essi la garanzia tangibile dell'altro miracolo.

 

10

 

Cristo entra nella casa ove si erano nascosti gli apostoli e appare loro a porte chiuse. Ma Tommaso, che non era presente, non ci crede; desidera vedere Gesù con i propri occhi e rifiuta i racconti dei compagni. Si tura gli orecchi perché vuole aprire gli occhi. Lo divora l'impazienza, quando pronunzia queste parole: Se non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò. Troppo esigente per credere, Tommaso vomita fuori diffidenza, sperando di procurarsi un'apparizione di Gesù. E' come se dicesse: I miei dubbi svaniranno soltanto quando lo vedrò. Metterò il dito nei segni dei chiodi e abbraccerò il Signore che tanto sospiro. Rimproveri pure la mia incredulità, ma mi lasci contemplarlo. Se non credo, si farà vedere da me, e quando lo stringerò crederò e godrò della sua presenza. Voglio vedere quelle mani trafitte che hanno guarito le mani scellerate di Adamo. Io voglio vedere quel petto che ha espulso la morte dal nostro petto. Voglio essere un testimone oculare del Signore, e non basarmi solo su testimonianze altrui. Il vostro racconto esaspera la mia brama, ma anche inasprisce il mio dolore. Il mio male guarirà, quando stringerò il farmaco fra queste mie mani. Gesù riappare allora otto giorni dopo e dissipa la tristezza e l'incredulità del discepolo. Non sopprime soltanto il dubbio di Tommaso, ma colma la sua attesa. Il Signore entra nella casa, quando le porte sono sprangate, e conferma a Tommaso l'incredibile miracolo della risurrezione con una incredibile apparizione. Gli dice: "Metti il dito nel posto dei chiodi. Mi cercavi, quando non ero presente; approfitta ora. Conosco la tua brama, anche se taci. Prima che tu parli, so quel che pensi. Udii le tue parole e, anche se invisibile. ti stavo accanto. Anche se non mi mostravo, ero vicino ai tuoi dubbi; senza farmi vedere, davo tempo alla tua incredulità, in attesa del tuo desiderio. Metti il tuo dito nel posto dei chiodi e stendi la tua mano nel mio costato e non essere incredulo, ma credente". Tommaso lo tocca, la diffidenza gli cade e, infiammato da fede sincera e da un amore degno di Dio, esclama: Mio Signore e mio Dio! E il Signore a lui: Perché mi hai veduto. hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!

 

12

 

"Tommaso! Porta l'annunzio della mia risurrezione a quelli che non l'hanno vista; attira la terra intera, perché creda non per aver visto ma per aver ascoltato la tua parola. Percorri popoli e città barbare, insegna loro a cingersi della croce e non delle armi. Basterà che tu predichi: quelli crederanno e mi adoreranno senza esigere altre prove. Dì loro che sono chiamati per grazia, e contempla la loro fede: Beati quelli che pur non avendo visto crederanno!

Questo è l'esercito che ormai recluta il Signore, questi sono i figli dell'abluzione spirituale, opera della grazia, messe dello Spirito. Essi hanno seguito Cristo senza averlo visto, ma l’hanno cercato e hanno creduto. L’hanno riconosciuto con gli occhi della fede, non con quelli dei corpo. Non misero le dita nel posto dei chiodi, ma si sono attaccati alla croce e hanno abbracciato la passione di Cristo. Non contemplarono il suo costato trafitto, ma per grazia si sono uniti alle sue membra, confermando in se stessi la parola del Signore: Beati quelli che pur non avendo visto crederanno.

 

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