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Letture della preghiera notturna dei certosini

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Anno A

 

Tempo Ordinario

 

Ottava  Settimana

 

 

170

                                                                                                                                

Dai Discorsi di Isacco di Ninive.

Discorso 44. Logia, Astir, Atene,1961,164.163.

 

Assumi un atteggiamento di libertà, pur essendo legato al corpo. Dimostra che sai obbedire in modo libero, perché agisci per il nome di Cristo.

Pratica una mansuetudine intrisa di discernimento per evitare di rimanere intrappolato. Ama l'umiltà in tutte le tue opere, per neutralizzare insidie nascoste, sempre in agguato appena fuori dal percorso dell'umile.

Non rifiutare le afflizioni, perché esse ti introducono nella conoscenza della verità. Non sgomentarti per le prove, giacché proprio lì trovi ciò che ti onora. Prega per non entrare nelle tentazioni dello spirito. Quanto poi alle prove del corpo, preparati con tutta la tua forza. Esse sono il cammino obbligato per avvicinarti a Dio, giacché racchiudono in se stesse il conforto divino. Chi fugge le prove fugge la virtù Ovviamente non intendo la tentazione provocata dalle passioni, ma la prova delle sofferenze.

Se Dio tarda ad esaudire una tua richiesta, non te ne affliggere. Non ne sai più di Dio. Questo ti capita forse perché sei indegno di ottenere quanto hai chiesto oppure perché le vie del tuo cuore non vanno nel senso della tua preghiera, ma in quello opposto. Il ritardo potrà anche dipendere dal fatto che non sei ancora pervenuto al punto in cui sei in grado di ricevere la grazia richiesta.

Non dobbiamo desiderare anzi tempo quello che ci supera, per non rendere inutile la grazia di Dio ricevendola troppo presto. Tutto quello che è ricevuto con facilità può anche perdersi alla svelta. Invece, come si custodisce con cura quello che è trovato attraverso la fatica del cuore !

 

 

                                                               171

 

Dai Discorsi dì Isacco di Ninive.

Discorso 46. Logia, Astir, Atene,1961,168‑169.

 

Non chiederai consiglio a chi non conduce una vita simi­le alla tua, anche se è un saggio famoso. È meglio palesare i tuoi pensieri a chi, quantunque senza cultura,ha provato le cose di persona, invece che a un dotto filosofo, che ragiona basandosi sulle sue speculazioni ma non ha esperienza concreta.

In fondo che cos'è l'esperienza? Non è certo osservare le cose di cui non si ha conoscenza concreta grazie alla pratica, ma apprendere dal lungo trattare con esse se sono di utilità o di danno.

Spesso qualcosa sembra nocivo mentre in realtà è di grande profitto. Però è vero anche il contrario, giacché quello che all'apparenza è utile può nascondere un germe che ci porta alla rovina. Ecco perché tanti sono danneggiati da cose che sembravano buone.

Anche la conoscenza può ingannare. Pertanto giovati del consiglio di colui che saggia e discerne le cose al filtro della pazienza. Però non chiunque è capace di dare consigli, ma soltanto chi gestisce bene la propria libertà e non paventa accuse o calunnie.

Quando una pace immutabile ti viene incontro, temila come sospetta; significa che sei lontano dalla strada maestra che a passi dolorosi percorsero i santi. Finché avanzi diretto verso il Regno, finché tendi verso la città di Dio, tieniti davanti questo segnale: hai da affrontare l'aspro scontro delle tentazioni.

 

 

172

Dai Discorsi di Isacco di Ninive.

Discorso 56. Logia, Astir, Atene,1961,202‑203.

 

Le lacrime dei giusti sono la loro offerta. Il sacrificio che Dio gradisce sono i lamenti ch'essi effondono nelle veglie notturne. I giusti infatti invocano il Signore e, accasciati dal peso del corpo, lo supplicano nelle loro pene; in risposta alle loro accorate invocazioni, i cori angelici vengono a soccorrerli, infondendo il coraggio e il conforto della speranza. Infatti gli angeli partecipano alle sofferenze e alle afflizioni dei santi, facendosi loro vicini.Beati coloro che si cingono i fianchi per amore di Dio

e nella semplicità, senza altro cercare, hanno deciso l'attraversata del mare delle afflizioni senza volgere le spalle. Uomini siffatti raggiungono velocemente il porto della salvezza nel Regno, dove riposeranno per aver lavorato bene, saranno consolati dai loro tormenti ed esulteranno godendo quello che sperarono.

Chi procede guidato dalla speranza non torna indietro, ma prosegue il cammino, senza porre domande. Soltanto all'arrivo potrà scoprire il senso della sua peregrinazione. Allora renderà grazie a Dio, che lo ha liberato dal passaggi difficili, da gorghi paurosi, da tutti i luoghi impervi, senza ch'egli se ne rendesse conto.

Chi invece continua a rimuginare, vuole essere superprudente, indugiando a concepire pensieri paurosi, sempre fermo alla fase dei preparativi o nel voler prevedere ogni possibile guaio, ebbene costui ‑ si tratta della maggioranza ‑ rimane costantemente seduto sull'uscio di casa sua.

 

173

 

Dai Discorsi di Isacco di Ninive.

Discorso 61. Logia, Astir, Atene,1961,220‑221.

 

Il fervore s'illanguidisce innanzi tutto quando nell'anima il desiderio s'allenta o addirittura si spegne. Una seconda causa della tepidezza spirituale è provocata da un pensiero di alterigia e di temerarietà che penetra nell'anima e vi mette radici; allora uno ripone la speranza in se stesso, s'immagina e crede che nessuna potenza maligna potrà

avere la meglio sopra di lui. Sicché egli depone le armi del fervore e diventa come una casa incustodita: il cane s'addormenta e per lungo tempo non farà più la guardia.

La maggior parte delle dimore spirituali sono saccheggiate proprio da questo modo di pensare. Ciò succede quando si copre di tenebre la purezza luminosa della conoscenza santa presente nel fondo dell'anima.

Ma da che cosa dipende che la purezza sia soffocata da tenebre cupe? Da un sottilissimo pensiero d'orgoglio che entra nel cuore e vi si annida. Oppure ciò capita se uno si getta sempre di più in effimere occupazioni, coltiva incontri frequenti col mondo ingannatore, soddisfa il ventre, ciò che è il massimo tra i mali.

Se chi si cimenta nel combattimento spirituale cerca gli incontri mondani, sappiamo bene che la sua anima si infiacchisce nella rilassatezza. Lo stesso succede quando uno ama avere rapporti con gente che lo loda, perché necessariamente la sua anima si spezza, cadendo nella vanagloria.

In una parola: l'intelletto di colui che fugge (quando va incontro al mondo) è simile al marinaio che, navigando con la bonaccia, s'incaglia nelle secche e fa naufragio.

Al nostro Dio siano gloria, potenza e onore nei secoli. Amen.

 

174

 

Dal "Discorso sulla sobrietà e la virtù" di Esichio Sinaita.

De temperantia et virtute,I,1.4. PG 93,1480‑1481.

 

La sobrietà è un cammino spirituale che quando sia costante e proceda volenterosamente, con l'aiuto di Dio, libera ogni uomo da pensieri passionali, da parole e opere malvagie. Nel suo procedere, la sobrietà ci fa dono di una conoscenza sicura del Dio incomprensibile e c'introduce nei misteri divini e segreti. Essa porta a compimento ogni precetto di Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento, ed elargisce i beni della vita futura.

La sobrietà è propriamente la purezza del cuore, che per la sua eccellenza e per la sua bellezza ‑ o per meglio dire, a motivo della nostra negligenza ‑ è rara oggi fra i monaci. Cristo la proclama beata dicendo: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Essendo tale, si compra a caro prezzo.

La sobrietà, quando è seguita con perseveranza, è guida verso una vita retta e gradita a Dio. È, inoltre, una scala che conduce alla contemplazione, insegnando l'equilibrato controllo delle tre potenze dell'anima ‑ mente, passionalità, desideri; la sobrietà c'insegna a sorvegliare con fermezza i sensi, e accresce giorno dopo giorno le quattro

grandi virtù, la saggezza, il coraggio, l'astinenza e la giustizia, stabilendo così la base della contemplazione.

Chi è nato cieco non vede la luce del sole, e così chi non cammina nella sobrietà non vede i ricchi fulgori della grazia dall'alto; neppure sarà liberato da opere, parole, pensieri cattivi e odiosi a Dio, i quali ‑ al momento della morte ‑ gli saranno di grave peso.

  

175

 

Dal “Discorso sulla sobrietà e la virtù” di Esichio Sinaita.

De temperantia et virtute, I,5.7. PG 93,1481.1484.

 

L 'attenzione (ossia la vigilanza) è l'esichia costante del cuore, libera da ogni pensiero; sempre e perennemente essa respira e invoca Cristo Gesù, Figlio di Dio e Dio: lui solo. Con lui si schiera coraggiosamente contro i nemici, affermando con fede che solo lui ha il potere di perdonare i peccati.

Mediante l'invocazione che sta abbracciata continuamente a Cristo, il solo che conosce i cuori nel segreto, l'anima cerca di nascondere con ogni mezzo agli uomini il proprio diletto e l'intimo travaglio; lo fa perché il maligno non trovi possibilità d'introdurre in lei di soppiatto la sua malizia e non cancelli l'opera più bella fra tutte.

Il timore che nasce dalla minaccia della punizione e quello che è unito alla carità, gli abbandoni da parte di Dio e le prove ch'egli ci manda per correggerci, sanno generare la stabile continuità dell'attenzione nella mente, facoltà suprema dell'uomo. Essa cerca di ostruire la fonte dei cattivi pensieri e delle cattive opere; per tale motivo, ripeto, gli abbandoni e le prove impreviste da parte di Dio, servono per raddrizzare la nostra vita.

Questo capita soprattutto a coloro che, dopo aver gustato la pace soave dell'attenzione, cadono nella trascuratezza. Ma lo sforzo continuato genera la consuetudine, la consuetudine genera come una naturale frequenza di sobrietà; e questa, nel tempo del combattimento, a poco a poco, genera la contemplazione. La contemplazione la ricevono la perseverante preghiera di Gesù, la dolce solitudine della mente, sgombra da fantasie, e lo stato di unione con Gesù.

 

176

                                                             

Dal “Discorso sulla sobrietà e la virtù” di Esichio Sinaita.

De temperantia et virtute, 1,13‑18.20. PG 93,1485.

 

Quanti siano i modi per giungere fino alla sobrietà e capaci di purificare a poco a poco la mente da pensieri passionali, ecco non esiterò ad indicarteli.

Il primo modo della sobrietà è di esaminare frequentemente la fantasia, cioè l'assalto dei pensieri; perché satana non può fabbricare i pensieri senza la fantasia, né presentare menzogne all'intelletto per ingannarlo.

Altro modo della sobrietà è di avere il cuore profondamente silenzioso, sempre, e nell'esichia lontano da ogni pensiero. E pregare.

Un altro modo consiste nel supplicare con umiltà Gesù per un aiuto continuo.

Un altro modo è di avere nell'anima il ricordo ininterrotto della morte.

Tutte queste operazioni impediscono come portinai l'accesso ai cattivi pensieri.

Chi lotta nell'intimo deve avere contemporaneamente questi quattro atteggiamenti: umiltà, somma attenzione, opposizione ai pensieri e preghiera.

Umiltà, perché la lotta è contro superbi demoni avversari, e per avere l'aiuto di Cristo alla porta del cuore giacché Dio odia i superbi.

Attenzione, per ottenere sempre che il cuore non abbia alcun pensiero, anche se gli sembra buono.

Ci vuole anche l'opposizione ai pensieri (o confutazione), perché appena si riconosce acutamente che il nuovo venuto è il maligno, subito sdegnosamente lo si contraddica con la Parola di Dio.

Occorre poi la preghiera, per gridare a Dio con gemiti inenarrabili, subito dopo la confutazione.

Allora il lottatore vedrà il nemico battuto o cacciato dall'adorabile nome di Gesù, come polvere dal vento o come fumo che si dissolve insieme con le sue fantasie.

 

 

  

 

 

Letture della preghiera notturna dei certosini

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Anno C

 

Tempo Ordinario

 

Ottava  Settimana

 

VANGELO (Lc 16,19-31)

Hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro i mali; ora lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti.  

 

 

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: “C’era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui.

Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.

Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti.

Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi.

E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento.

Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno.

Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi”.

Beati i poveri

Per avere un cuore di povero che non cerchi di far distinzione fra chi è degno e chi non lo è (174), occorre una totale abnegazione, la lotta contro le tendenze sregolate e uno sforzo sostenuto (171). Ma la povertà autentica (172) ci fa superare la tristezza e acquistare la perla di gran valore (173). La povertà è una beatitudine (171- 170), è Cristo stesso (169).

169

Lunedì

 

Dalle “Catechesi” di Simeone il nuovo Teologo.

Catech.II. S Ch 96,277.279.

Abbandoniamo, fratelli, tutti i beni della vita fuggitiva, cioè la vana gloria, l’invidia, le contese tra noi, la dissimulazione, il mormorare e l’ira: tutto ciò provoca l’avversione di Dio e mette l’anima in pericolo. Desideriamo invece di tutto cuore ciò che Dio ci comanda di abbracciare: la povertà dello spirito -che la Parola chiama umiltà - l’afflizione continua giorno e notte da cui scaturiscono la gioia dell’animo e la consolazione di tutte le ore per coloro che amano Dio (Rm 8,28).

Fuggiamo l’illusione di questa vita e il suo preteso piacere e corriamo verso l’unico Salvatore, il Cristo Gesù. Sforziamoci di trovarlo, lui che è presente dappertutto. Una volta trovatolo, tratteniamolo, cadiamo ai suoi piedi e abbracciamoli nel fervore dello spirito. Sì, ve ne supplico, sforziamoci, finché siamo in vita, di vederlo e di contemplarlo.

Se saremo giudicati degni di vederlo sensibilmente quaggiù, non moriremo, la morte non avrà più potere sopra di noi. Dopo aver osservato i suoi comandamenti ci sia dato di purificare il cuore con le lacrime e il pentimento, in modo di contemplare fin da quaggiù la luce divina, Cristo in persona, di possederlo, rimanendo nel nostro intimo. Allora, tramite il suo Spirito, che nutre e vivifica le nostre anime, gusteremo la dolcezza piena di voluttà dei beni del suo regno.

170

Martedì

 

Dai “Detti” dei Padri dei deserto.

Evagrio, Practicos,97. PG 40,1249;  Sincletica,5. Cassiano 7.  Mortari,1975,Vo1.2°,P.194.300.

L’abate Evagrio raccontava: Un fratello che aveva soltanto un vangelo, lo vendette per nutrire i poveri, dicendo questa frase memorabile: Ho venduto la parola stessa che mi ordina: Vendi quello che hai e dallo ai poveri (Mt 19,21).

Fu domandato a Sincletica, di beata memoria, se la povertà fosse un beneficio. Essa rispose: E’ un bene enorme per quelli che ne sono capaci, dato che coloro che possono sopportarla soffrono nella loro carne, ma posseggono la quiete dell’anima. Uno spirito forte si fortifica sempre più tramite la povertà volontaria; egli assomiglia alle vesti solide che sono lavate e diventano bianche con lo sbatterle sulla pietra e torcendole vigorosamente.

Un fratello domandò ad un anziano: “Che debbo fare per essere salvato?” Costui si spogliò della tunica,  si cinse le reni e stese le mani verso il cielo dicendo: “Ecco come deve essere il monaco; nudo rispetto  ai beni materiali e crocifisso di fronte alle tentazioni e alle prove di questo mondo”.

L’abate Cassiano diceva che un senatore aveva distribuito i beni ai poveri, ma facendosi monaco si era riservato qualcosa per sé, non volendo abbracciare la perfetta umiltà della totale rinuncia. Basilio gli disse: “Tu hai smesso di essere senatore, ma non sei diventato monaco”.

171

Mercoledì

 

Dai “Discorsi” di Isacco della Stella.

Serm.1,14ss. S Ch 130,93ss.

La Sapienza di Dio, il Figlio per natura, la Destra del Padre, la bocca che proclama la verità, annunzia che i poveri sono beati, destinati ad essere re, re del Regno eterno. Egli sembra dire: Voi cercate la beatitudine, ma essa non sta dove la cercate; correte, ma fuori strada. Ecco la via che mena alla felicità: la povertà volontaria, a causa mia. Ecco la strada. Il Regno dei cieli è in me, sta qui la beatitudine. Correte molto, ma male; più in fretta andate, peggio deviate. La strada è la povertà, non la gioia; si percorre la via per giungere alla mèta.

Non temiamo, fratelli; poveri, ascoltiamo il Povero che raccomanda ai poveri la povertà. Crediamo alla sua esperienza. Povero è nato, povero visse, povero morì. Ha voluto morire, non volle arricchire. Crediamo perciò alla Verità che ci indica la strada che conduce alla vita. Via stretta, ma breve; e la beatitudine sarà eterna. Via stretta, ma che mena alla vita, al largo, e ci farà camminare per vaste distese. Eppure è un cammino scosceso, perché si eleva e così camminiamo verso il cielo.

Di qui la necessità di alleggerirci, di non essere pesanti nel nostro andare; che vogliamo? Cerchiamo davvero la felicità? La Verità ci mostra la vera beatitudine. Vogliamo poi la ricchezza? il Re distribuisce i regni e fa i re.

172

Giovedì

 

Dai “Detti” dell’abate Isaia.

Logos 26,17.17,3. Recueil ascétique, Solesmes, 1970,pp.241.148.

Metti salde radici su questa parola: la fatica, la povertà, lo stato di estraneo, la stabilità e il silenzio producono l’umiltà; e l’umiltà rimette i peccati. Se uno non osserva questo, vana è la sua abnegazione. Se hai abbandonato ogni cosa visibile, fa’ attenzione al démone della tristezza, per tema che la tua gran povertà e tribolazione ti intralcino a pervenire fino alle virtù eccellenti che sono: non stimar sé stesso, sopportare l’ingiuria e non procurarsi notorietà in nessuna disciplina mondana.

Se lotti per acquisire codeste virtù, esse ti prepareranno una corona per l’anima. E sappi che non sono coloro che hanno rinnegato i beni visibili, diventando indigenti di tutto quello che si vede, ad essere poveri; tali sono davvero quelli che si svuotarono di ogni malizia e sono divorati da una fame continua di Dio. Neppure acquistano l’impassibilità quelli che sono immersi in affanni concreti. Lo sono coloro che hanno l’assillo dell’uomo interiore e che rinnegano la propria volontà: questi sono i veri poveri e riceveranno la corona delle virtù.

173

Venerdì

 

Dagli “Inni” di Simeone il nuovo teologo.

Inno XVII,v.532ss. S Ch 174,51-59.

Ascolta le parole del Maestro, ascolta le parole della Parola, in che modo egli mostri che gli uomini ricevono il regno dei cieli fin da quaggiù. Egli dice: Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose (Mt 13,45) E’ proprio a te che consiglia di scoprire la perla e dopo averla valutata inestimabile, vendere tutto e comprarla.

Ti invito ad ascoltare con intelligenza. Se tu possedessi il mondo intero e tutto quello che il mondo contiene e se, prodigando i tuoi beni, tu li distribuissi agli orfani, alle vedove, ai mendicanti privi di ogni risorsa, e diventassi tu stesso mendicante, ebbene: qualora tu stimassi anche solo un pochino che quello che hai pagato ha lo stesso valore, tanto da dire: Dammi la perla, perché ho dato via tutto quello che ho, immediatamente sentiresti il Maestro risponderti: Che è mai “tutto quello che ho” di cui parli? Sei uscito nudo dal ventre di tua madre e nudo entrerai nella tomba. Quali sono questi beni che pretendi? Non riceverai la perla, non avrai parte al Regno.

Invece, se hai dato via tutto, tutto quello che era tuo, oppure se ti sei reso completamente povero, e se vieni avanti, dicendo: Guarda, Signore, ora ho anima e cuore spezzati, rudemente umiliati, violentemente consumati. Maestro, guarda la mia nudità, osserva come sono indigente, lontano da ogni virtù, povero oltre ogni dire, senza nulla per acquistare te, il Verbo. Abbi pietà di me, o tu, il Solo, tu, mio Dio, che sopporti i malvagi. Che donò la peccatrice? Che presentò il ladrone? E il prodigo, o Cristo, che ricchezza ti portò?

Parla così e udrai dirti: Sì, mi offrivano doni, sì mi offrivano una ricchezza: dopo avermi dato quello che avevano, ricevettero la perla che vale più del mondo intero. Anche tu, se la desideri, offrimi quei medesimi doni e certamente la riceverai.

174

Sabato

 

Dai “Discorsi” di Isacco di Ninive.

Disc.23, op.cit.p.160

Non far distinzione fra ricco e povero. Non cercare di conoscere quello che è degno e quello che non lo è. Per te, gli uomini siano tutti uguali nel bene, là dove potrai attirare anche gli indegni. Infatti il cuore passa rapidamente dalle realtà corporee al timore di Dio. Il Signore mangiava alla tavola dei pubblicani e delle prostitute. Non allontanava gli indegni, per attrarre così tutti verso il timore di Dio e permettere loro con mezzi sensibili di pervenire alle realtà dello Spirito. Considera dunque tutti gli uomini, fossero atei o assassini, uguali nel bene e nella stima: vedi in ognuno tuo fratello secondo natura, anche se è sviato lontano dalla verità, senza saperlo.

Quando fai del bene a qualcuno, non ricevere nulla in cambio. Sarà Dio a ricompensarti. E possibilmente, non fare neppure il bene per averne la ricompensa in cielo. Se hai scelto la povertà, se per grazia di Dio ti sei slegato da ogni assillo, e se con la povertà ti innalzi sopra tutto ciò che è mondano, fa’ attenzione di non amare il possesso insieme con la povertà. Col pretesto di far elemosina, ti cacceresti nei guai ricevendo da uno quello che dai all’altro; perderesti il tuo onore soggiacendo alle sollecitazioni umane. Dalla libertà e dalla nobiltà della tua scelta, cadresti negli affanni della vita terrena. Infatti il livello a cui sei salito è più alto di quello di chi fa l’elemosina. No, ti prego, non precipitare in basso. L’elemosina è come il cibo dei bambini. Ma l’esichia è l’apice della perfezione. Se hai qualcosa, condividilo una volta per tutte. Ma se non hai nulla, non cercare di possedere qualcosa. La tua cella sia sgombra dalle delizie del mondo e da ogni superfluità.

 

 

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