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Letture della preghiera notturna dei certosini

   Anno C

 

Tempo Ordinario

 

Settima  Settimana

 

VANGELO Gv 4,14-24

Sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.

 

Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”. “Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. Le disse: “Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui”. Rispose la donna: “Non ho marito”. Le disse Gesù: “Hai detto bene ‘‘non ho marito’’; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”.

Gli replicò la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. Gesù le dice: “Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”.

 

Culto in spirito e verità

La solitudine per Dio favorisce la preghiera dei veri adoratori (163); la loro continua applicazione alle realtà divine (165,167) opera la purificazione del cuore (164,168) perché alla fine essi possano aderire a Dio e formare con lui un solo spirito (163,166).

163

Lunedì

 

Dalla “Lettera d’oro” di Guglielmo di S.Teodorico.

Nn.27.29-31. Op.cit.,pp.45-47.

La pietà è una memoria continua di Dio, uno sforzo incessante dello spirito per giungere alla sua conoscenza, uno slancio mai stanco del cuore per arrivare al suo amore.

Chi tra voi non possiede in cuore questa pietà, non la manifesta nella vita, non la coltiva in cella, bisogna chiamarlo non solitario, ma solo. La cella per costui non è cella, ma luogo di reclusione e carcere. Infatti è davvero solo colui che in Dio non è libero. Isolamento e reclusione sono nomi di miseria.

In nessun caso la cella deve essere reclusione forzata, ma dimora di pace. La porta chiusa non è nascondiglio, ma ritiro. Colui con il quale Dio è, non è mai meno solo di quando è solo. Allora gode liberamente della sua gioia; allora egli è di sé stesso per godere di Dio in sé e di sé in Dio.

Allora, nella luce della verità, nella serenità di un cuore puro, spontaneamente si rivela una coscienza pura; e liberamente effonde in sé la memoria piena di Dio; e ora l’intelletto si illumina e l’affetto gode del suo bene; l’imperfezione dell’umana fragilità poi compiange liberamente sé stessa delle sue debolezze.

A motivo di ciò la cella e il cielo sono dimore affini, sia per il nome sia per la pietà. Infatti da “celare” le parole cielo e cella traggono, sembra, il loro nome. E quello che si cela nei cieli, lo si fa anche in cella. Che cosa, dunque? Attendere a Dio, godere di Dio.

164

Martedì

 

Dalle “Omelie” attribuite a Macario l’egiziano.

Hom. VI,3-4. PGL 19,1203.

Il vero metodo d’orazione consiste nel seguire attentamente i propri pensieri e nel pregare con una grande tranquillità e nella quiete.

Infatti, il combattimento spirituale di un uomo deve svolgersi integralmente nel suo pensiero. Egli deve abbattere attorno a lui la foresta dei cattivi pensieri, fissare con forza la mente su Dio, vietarsi di seguire le pulsioni che gli sorgono dal fondo. Deve invece raccogliere i pensieri che scivolano via da ogni lato e discernere i buoni dai cattivi.

L’animo che è sotto la tirannia dei peccati assomiglia a un folto bosco sulle pendici di un monte, alle canne di un fiume, a una selva di cespugli spinosi. Chi vuole attraversare quei posti, deve protendere la mano e con sforzi violenti aprirsi un varco fra i rovi e gli arbusti. Proprio in modo analogo l’animo è circondato dalla selva di pensieri ostili. Perciò alla mente occorre una buona dose di attenzione diligente per discernere e respingere i moti che vengono dalla potenza nemica.

Succede sovente che più d’uno si basa sulla propria forza e crede di potersi aprire da sé un sentiero attraverso la montagna coperta di boschi. Allo stesso modo, durante la preghiera, alcuni, troppo baldanzosi della propria forza fisica, tirano fuori esclamazioni a sproposito. Ignorano l’astuzia sottile dei pensieri e si immaginano che potranno attuare la perfezione con i propri mezzi.

Invece vi sono altri che sorvegliano i propri pensieri e conducono la lotta unicamente al di dentro. Costoro, poiché sono perspicaci e riflessivi, possono porre azioni perfette, atterrare i pensieri che insorgono e compiere la volontà del Signore.

165

Mercoledì

 

Dai “Detti” dei Padri dei deserto.

Epifanio,3; Giuseppe di Panefò,7; Nau 379. Mortari,1972,pp.239.241.

Il beato Epifanio, vescovo di Cipro, aveva in Palestina un monastero. Il suo abate un giorno gli mandò a dire: “Grazie alle tue preghiere, non abbiamo trascurato la nostra regola, ma con zelo celebriamo l’ora di prima, terza, sesta, nona e l’ufficio del lucernario”. Ma egli li rimproverò con queste parole: “Evidentemente trascurate le altre ore del giorno astenendovi dalla preghiera. Il vero monaco deve avere incessantemente nel cuore la preghiera e la salmodia”.

Il padre Lot si recò dal padre Giuseppe a dirgli: “Padre, io faccio come posso la mia piccola sinassi, il mio piccolo digiuno, la preghiera, la meditazione, vivo nel raccoglimento, e, secondo le mie forze, cerco di essere puro nei pensieri. Che cosa devo fare ancora?”. Il vecchio, alzatosi, apri le braccia verso il cielo e le sue dita divennero come dieci fiaccole. “Se vuoi, gli disse, diventa tutto fuoco”.

Disse un anziano: “Come è impossibile che qualcuno veda il suo volto nell’acqua torbida, così anche l’anima non può contemplare Dio nella preghiera se prima non si è purificata dai pensieri impropri”.

166

Giovedì

 

Dal “Commento al Cantico dei Cantici” di san Bernardo.

Serm.31,6. PL 183,943.

Chi si unisce al Signore, forma con lui un solo spirito (1Cor 6,17). Questa unione si compie nello spirito, perché Dio è spirito e s’invaghisce dell’anima che vede camminare nello Spirito, trascurando i desideri della natura. Dio se ne innamora soprattutto se la vede ardere di amore per lui.

Ma l’anima che prova tali sentimenti e si sa amata, non sarà paga dell’unione concessa a tutti e che si fa per la mediazione delle cose create; neppure essa è contenta della presenza dello Sposo, per rara che sia, nei sogni e nelle visioni. Nulla può colmarla, fino a che, per una speciale prerogativa, le sia dato di cogliere Dio con intimi affetti, quasi egli scendesse dal cielo, in mezzo al suo cuore. Allora l’anima possiede l’oggetto dei suoi desideri, non in figura ma infuso, non in apparizione, ma unito a sé. Ed è indubitabile che più ciò avviene nell’intimo, e non al di fuori, maggiore è il gaudio. E’ infatti il Verbo che non produce suono, ma penetra; non è loquace, ma efficace; non colpisce l’orecchio, ma incanta il cuore con le sue carezze. Il volto divino non ha forma, ma forma l’anima; e la sua luce non splende agli occhi dei corpo, ma inonda di gioia il volto del cuore; allora si gode non della sua bellezza sensibile, ma del dono del suo amore.

167

Venerdì

 

Dai “Capitoli naturali” di Niceta Stéthatos.

II,74.75.77. FG 3°,446-447.

Sappi con certezza che preghiera continua è quella che non cessa dall’anima né di giorno né di notte; quella che non si riconosce da chi guarda, nelle mani tese, nella stabilità del corpo e dal suono della lingua; ma è intesa da chi sa intendere, nella meditazione spirituale dell’intelletto operoso e del ricordo di Dio, mediante una perseverante compunzione.

Uno può sempre aderire alla preghiera, quando i suoi pensieri, raccolti intorno alla guida dell’intelletto, sono intenti a scavare le profondità di Dio e a cercare di gustarne la dolcissima corrente della contemplazione, in pace e in molta pietà. Egli però non può aderire ad essa se tale pace non c’è, poiché la preghiera continua si realizza in colui nel quale, mediante la conoscenza, le potenze dell’anima concordano tra di loro.

Il mistero della preghiera non si compie in un tempo e in luogo determinati, giacché se definisci, per la preghiera, ore momenti e luoghi, il tempo che resta fuori da questi trascorre oziosamente in altre cose vane.

La definizione della preghiera è questa: moto perpetuo dell’intelletto intorno a Dio; la sua opera, poi, è il volgersi dell’anima intorno alle realtà divine e il suo fine è l’aderire della mente a Dio e l’essere chiamato un solo spirito con lui (1Cor 6,17), secondo la definizione e la parola dell’Apostolo.

168

Sabato

 

Dalla “Custodia dell’intelletto” di Isaia anacoreta.

Nn.13-15. FG l°,91-92.

Se l’uomo non odia ogni attività mondana, non può rendere culto a Dio. Qual è allora il culto di Dio? Non consiste forse nel non avere noi nulla di estraneo nell’intelletto, mentre lo preghiamo? Né voluttà mentre lo benediciamo? Né malizia mentre inneggiamo a lui? Né odio mentre diamo a lui la preferenza? Né zelo malvagio che ci freni mentre meditiamo di lui e ci ricordiamo di lui?

Tutte queste cose tenebrose sono come un muro che circonda la misera anima, ed essa non può render culto a Dio con purezza quando le reca in sé. Perché la trattengono nell’aria e non le per mettono di andare incontro a Dio, di benedirlo nel segreto e di accoglierlo con dolcezza di cuore per essere da lui illuminata. Perciò l’intelletto è sempre nelle tenebre e non può progredire secondo Dio, perché non si dà cura di recidere queste cose con avvedutezza. Quando l’intelletto serba i sensi dell’anima lontano dalle volontà passionali e li trasferisce nell’impassibilità, staccandosi da tali voglie devianti, allora Dio le viene in aiuto potente. Infatti se il Signore vede le passioni gettarsi sull’anima per dominare i sensi con il peccato e l’intelletto gridare ininterrottamente a Dio nel segreto, allora egli manda il suo aiuto e dissolve tutto in un sol tratto. Ti raccomando, fratello, di non rilassare mai il tuo cuore, finché vivrai su questa terra.

 

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