Letture della preghiera notturna dei certosini |
Tempo Ordinario
Trentunesima Domenica
VANGELO
(Gv 18,33-37)
Tu
lo dici; io sono re. In
quel tempo, disse Pilato a Gesù: “Tu sei il re dei Giudei?”. Gesù
rispose: “Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio
conto?”. Pilato rispose: “Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi
sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?”. Rispose
Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di
questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi
consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”. Allora Pilato
gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose
Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo
sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è
dalla verità, ascolta la mia voce”. La pazienza divina durante il tempo della Chiesa
Bene e male sono nascosti in noi (306), perché le tentazioni sono seminate nel nostro cuore con i chicchi della virtù (307); sta a noi scegliere se diventare immagine di Dio o della materia (308). Tuttavia, il Signore aspetta con longanimità il momento in cui ritorneremo totalmente a lui (309). Soprattutto mediante l’umiltà è sradicata la zizzania dal campo del Padrone divino (310), perché implorare da Cristo misericordia è chiedere da lui il regno (311).
306 Lunedì
Dalle “Omelie” attribuite a Macario l’egiziano. Hom.16,1-2. PG 34,613.
Dentro
di noi agisce il male, suggerendoci inclinazioni perverse. Esso però non
è in noi, tanto per fare un esempio, così come l’acqua si mescola con
il vino. E’ in noi senza mescolarsi col bene. Noi siamo un campo in cui
grano e zizzania crescono separatamente. Siamo una casa in cui c’è il
ladro, ma c’è anche il padrone. Siamo
una sorgente che si trova in mezzo al fango, ma dalla quale sgorga acqua
pura. Tuttavia, basta agitare il fango e la sorgente si intorbidisce. Così
succede all’anima: se il male si sparge, forma tutt’uno con essa e la
rende sordida. Col nostro consenso, il male e l’anima si uniscono,
diventano complici. Giunge
però il momento in cui l’anima si libera per restare di nuovo sola. Si
pente, piange, prega e si ricorda di Dio. Ciò non potrebbe farlo se fosse
sempre immersa nel male. E’
come in un matrimonio. Una donna si unisce ad un uomo e diventano una cosa
sola. Ma un coniuge muore, l’altro resta in vita. C’è invece
l’unione con lo Spirito Santo. Allora diventiamo con lui un solo spirito
(1Cor 6,17). Veniamo interamente assorbiti dalla grazia.
307 Martedì
Dal “Commento al Padre nostro” di san Massimo il confessore. FG 2°,311-312.
Secondo
la Scrittura le tentazioni sono di due specie: l’una piacevole,
l’altra dolorosa. Una dipende da una scelta volontaria, l’altra no.
Una genera il peccato, sicché il Signore ci ha comandato di pregare per
non cadere in tentazione. L’altra specie di tentazione è conseguenza
del peccato e castiga la disposizione ad esso, infliggendo pene non
volute. Se
però uno sopporterà tutto, e non sarà trafitto dai chiodi del vizio,
potrà applicarsi queste parole: Considerate perfetta letizia, miei
fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della
vostra fede produce la pazienza. La pazienza una virtù provata e la virtù
provata completa l’opera sua in voi (cf Gc 1,2-4 e Rm 5,4). Il maligno seminando la tentazione volontaria, eccita l’anima con i piaceri per distogliere il suo desiderio dal divino amore; e con l’inganno cerca di ottenere la tentazione involontaria, perché vuole distruggere la natura col dolore, per forzare l’anima abbattuta a calunniare il suo Creatore. Ma noi consci di ciò, supplichiamo che si allontani la tentazione volontaria, perché non ci accada di far deviare il desiderio dall’amore divino. E quanto alla involontaria, quando sopravviene secondo il permesso divino, sopportiamola generosamente, perché appaia che noi preferiamo alla natura il Creatore della natura.
308 Mercoledì
Dai “Capitoli sulla teologia e sull’economia dell’incarnazione dei Figlio di Dio” di san Massimo il confessore. FG 2°,115.119.
Non
vi è un’anima razionale più nobile per essenza di un’altra anima
razionale. Dio infatti nella sua bontà crea a propria immagine ogni
anima; egli la porta all’essere e la dota di un suo movimento proprio. E
ogni anima, per propria scelta opta per l’onore, oppure volontariamente,
si procura il disonore mediante le sue opere. Come sta scritto, (cf Ml
3,20) Dio è il Sole di giustizia, che indiscriminatamente fa splendere su
tutti i raggi della propria bontà. Ma, per volere proprio, l’anima
suole divenire o come cera se ama Dio, o come fango, se ama la materia. Come
il fango per sua natura viene seccato dal sole, mentre la cera
naturalmente si rammollisce, così ogni anima amante della materia e del
mondo, ammonita da Dio e resistendogli come fango per volontà propria, si
indurisce e spinge sé stessa alla perdizione, come il faraone d’Egitto. Quella
invece che ama Dio, si rammollisce come cera e, ricevendo i segni e le
impronte delle realtà divine, diviene abitazione di Dio nello Spirito. Tuttavia,
mai l’anima può tendere a Dio se Dio stesso, usandole condiscendenza,
non l’afferra e non l’attira a sé. L’intelletto umano non avrebbe
la forza di slanciarsi tanto da cogliere qualche divino barlume se Dio
stesso non lo attirasse e non lo rivestisse di luce.
309 Giovedì
Dalle “Omelie” attribuite a Macario l’egiziano. Hom.IV,15-16. PGL 19,1186-1187. Tanto
spesso noi non vogliamo convertirci davvero: Dio però prova grande pietà
per noi e attende con pazienza quando, tornando indietro, arriveremo a
lui. Allora saremo illuminati nell’uomo interiore, affinché il nostro
volto non si copra di vergogna nel giorno del giudizio. A
noi ciò appare difficile per via dell’austero esercizio richiesto dalla
virtù, anzi per via della suggestione e dei consigli dell’avversario;
Dio invece si impietosisce e pazienta. Egli aspetta il nostro ritorno, e
quando pecchiamo sopporta. Sopporta attendendo la nostra conversione e se
cadiamo non si vergogna di accòglierci ancora, come ha detto il profeta:
Forse chi cade non si rialza e chi perde la strada non torna indietro?
(Ger 8,4) Solo pratichiamo la sobrietà, armiamoci di buona intenzione e
torniamo indietro subito per la retta via cercando aiuto in Dio che è
pronto a salvarci. Egli attende lo slancio fervido della nostra volontà
(per quanto ne siamo capaci) e la fede alacre, frutto del buon
proponimento. Il successo è il Signore che lo opera tutto quanto in noi. Affrettiamoci,
dunque, carissimi, come figli di Dio, a spogliarci di ogni trasandataggine
e rilassatezza, per diventare pronti a seguirlo senza rimandare di giorno
in giorno; non lasciamoci ingannare dal male, perché non sappiamo quando
avverrà la nostra partenza dal corpo. Grandi e indicibili sono le
promesse fatte ai cristiani, tanto che neppure tutta la gloria e la
bellezza del cielo e della terra sono paragonabili alla fede di una sola
anima ricca di Dio.
310 Venerdì
Dalla “Corrispondenza” di Barsanufio e Giovanni di Gaza. Lettera 256. Op.cit. pp.201-203.
L’uomo
vigile e prudente, che vuole essere salvato, vedendo da dove viene il
pericolo, bada con cura minuziosa a respingere ogni riflessione cattiva
per non indugiare sulle passioni stesse; evita ora uno sguardo, ora quella
conversazione oppure questo pretesto, nella tema di accendere in sé
l’incendio. Ecco
la lotta che viene dalla volontà libera. Sii dunque vigilante, fratello,
e non gettare mai a terra lo strumento senza del quale la terra non
produrrà frutti. Questo strumento è l’umiltà che è messa in opera
dal sommo Iddio, e grazie a cui è sradicata tutta la zizzania dal campo
del Padrone divino. L’umiltà infatti procura la grazia a coloro la cui
vita è guidata da tale virtù. L’umiltà non cade, ma rialza da ogni
caduta quelli che la posseggono. Corri
fratello, corri verso Gesù per afferrarlo. Se vuoi essere salvato, se
vuoi progredire, lavora. Cerca di essere con i santi, rivestito della
gloria ineffabile, e non con i luridi demoni, nel supplizio innominabile.
Aspira ad essere nel regno dei cieli e non nella geenna del fuoco. Aspira
ad ascoltare rivolte verso di te queste parole: Venite, benedetti del
Padre Mio (Mt 25,34). E anche: Bene, servo buono e fedele (Mt
25,21) Invece del temibile: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno (Mt 25,26.41). La gloria del Signore sia nei secolì. Amen.
311 Sabato
Dalla “Spiegazione della divina liturgia” di Nicola Cabàsilas. Cap.XIII. S Ch 4,106-107. Implorare
da Dio misericordia significa chiedere il suo regno, quel regno che Cristo
ha promesso di dare a chi lo cerca, specificando che aggiungerà in più
le altre cose di cui abbiamo bisogno (Mt 6,33). Ma
da dove possiamo ricavare, mi direte, che la misericordia di Dio significa
il regno di Dio? Dal
fatto che Cristo, proclamando la ricompensa dei misericordiosi e quale
premio di bontà essi riceveranno da lui, dichiara che troveranno
misericordia, oppure che otterranno il regno. Per
di più in un altro contesto, quasi per spiegarsi meglio e indicare che
cosa sia trovare misericordia, afferma: Il re dirà a quelli che stanno
alla sua destra: - e vuole così designare i misericordiosi -
Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato
per voi fin dalla fondazione del mondo (Mt 25,34). D’altra parte, se tra le azioni che compiono gli uomini compassionevoli vogliamo considerare l’oggetto della divina misericordia, noteremo che equivale appunto allo stesso regno. Infatti che fanno i misericordiosi? Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere. Perciò
quelli a cui Cristo fa misericordia, saranno ammessi alla sua mensa. Ma
quale è questa mensa? Mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno (Lc
22,30). Perché
poi intravediate la magnificenza di quel festino, regale banchetto e non
pasto per servi, sappiate che colui che servirà sarà il Sovrano
universale: Egli si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e
passerà a servirli (Lc 12,17).
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