Letture della preghiera notturna dei certosini |
Tempo Ordinario
Trentesima Domenica
VANGELO
(Mt 9,18-26)
Mia
figlia è morta proprio ora; ma vieni e vivrà.
In
quel tempo, mentre Gesù parlava, giunse uno dei capi che gli si prostrò
innanzi e gli disse: “Mia figlia è morta proprio ora; ma vieni, imponi
la tua mano sopra di lei ed essa vivrà”. Alzatosi, Gesù lo seguiva con
i suoi discepoli. Ed
ecco una donna, che soffriva d’emorragia da dodici anni, gli si accostò
alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Pensava infatti: “Se
riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”. Gesù,
voltatosi, la vide e disse: “Coraggio, figliola, la tua fede ti ha
guarita”. E in quell’istante la donna guarì. Arrivato
poi Gesù nella casa del capo e veduti i flautisti e la gente in
agitazione, disse: “Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma
dorme”. Quelli si misero a deriderlo. Ma dopo che fu cacciata via la
gente egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò. E se ne
sparse la fama in tutta quella regione. Fede e risurrezione
Purché la nostra fede nelle realtà escatologiche (302) sia stabile (301), essa ci conduce alla vita eterna. Secondo l’ampiezza che la nostra fede riveste durante il pellegrinaggio terreno, altrettanto fulgente sarà il nostro essere nella gloria (303); infatti Dio è il Vivificatore e in lui il nostro essere non conosce la morte (304): soltanto la luce divina può saziarci per sempre (305). N.
B. In questa settimana i giorni feriali sono sempre soltanto cinque.
Perciò le letture non indicano il giorno della settimana.
Dalla “Vita di Mosè” di san Gregorio di Nissa. PGL 24,234. Non
potrà mai correre alle cime della virtù colui che scivola con facilità,
è poco stabile di mente, indeciso nel bene, va fluttuando e vagando, come
dice l’Apostolo; (Ef 4,14) egli si lascia dominare dal dubbio, passa da
un’opinione all’altra riguardo a questo o quel problema. Assomiglia a
chi nel camminare su un pendio sabbioso, si sforza di moltiplicare i
passi, ma scivola di continuo; e pur mettendo ogni impegno, non realizza
il benché minimo progresso. Ma quando uno ritrae i piedi dal fondo
dell’abisso e li pone sulla
roccia che è Cristo, virtù perfettissima, (cf 1Cor10,5) allora quanto più
egli sta fermo e immutabile nel bene, conforme
al consiglio di Paolo (cf 1Cor 15,58), tanto più accelera la
corsa, come se nella stabilità del bene, egli fosse fornito di ali che
sollevano a volo il suo cuore verso gli spazi celesti. Chi
avrà tenuti saldi i piedi sulla roccia, avrà cioè conservato la fede,
sarà ricompensato con la corona di giustizia per mano di chi presiede la
corsa. Questo
premio dalla Scrittura è chiamato con diversi termini. Il rifugio della
pietra, qui nominato, è indicato in altri passi, con le espressioni:
paradiso di delizie, tabernacolo eterno, dimora presso il Padre, seno dei
patriarchi, dimora dei viventi, acqua di letizia, Gerusalemme celeste,
regno dei cieli, premio della vocazione e corona di grazia, di letizia, di
bellezza, torre fortificata, luogo glorioso e tabernacolo secreto. Poiché
Cristo è la roccia, secondo le parole di Paolo, noi crediamo che in lui
è la speranza di ogni bene (cf 1Cor10,5) e in lui sono tutti i tesori di
bontà. Chi dunque giunge a possedere qualche bene, indubbiamente si trova in Cristo, il quale possiede ogni bene.
Dai “Precetti pratici e teologici” di Simeone il nuovo teologo. I, 10-13. S Ch 51,42-43. Vera
fede è la disposizione a morire per amore di Cristo, in conformità al
suo comandamento, e con la convinzione che questa morte dona la vita. In
tale disposizione spirituale, la povertà è stimata ricchezza. La vita
nascosta e la condizione dimessa appaiono come vero onore e gloria
autentica; nel niente possedere vi è la certezza di avere tutto. Soprattutto
la fede è il possesso dell’invisibile tesoro della conoscenza di
Cristo: essa fa considerare le cose visibili come polvere e fumo. La fede
in Cristo non è soltanto nella non valutazione dei piaceri della vita:
crediamo nella sua risurrezione anche sopportando con paziente serenità
le prove, affrontandole fino al momento in cui Dio rivolge a noi il suo
sguardo paterno. Ma
c’è di più; chi in qualunque maniera antepone l’amore verso i
parenti al comandamento di Dio, non ha fede in Cristo. Il segno dei veri
credenti è nel rifiuto di trasgredire anche un solo precetto del
Salvatore nostro Gesù Cristo. La
fede in Cristo è poi madre del desiderio dei beni eterni. Chi cerca
diligentemente di conoscere le realtà future, occorre che si spogli di
quelle presenti. Infatti chi è attaccato alla pur minima cosa delle realtà
temporali non potrà mai conoscere quelle future.
Dalla Parafrasi di Simeone Metafrasto ai discorsi di Macario l’egiziano. Nn140-141. FG 3°,340-341.
Ogni
anima che è fatta degna, per il suo zelo e la sua fede, di rivestire
perfettamente già quaggiù Cristo, secondo la potenza e la piena certezza
della grazia, ed è unita alla luce celeste dell’immagine
incorruttibile, è iniziata fin da ora alla conoscenza sostanziale di
tutti i misteri celesti. Ma nel grande giorno della risurrezione, anche il
suo corpo conglorificato con la stessa immagine della gloria, rapito ai
cieli dallo Spirito, secondo quanto è scritto (cf 1Ts 4,17), e fatto
degno di diventare conforme al corpo della gloria di lui, possederà il
regno eterno, senza fine, ed eredità comune con Cristo. Quanto più uno per il proprio zelo e la propria fede ha comunicato alla gloria del celeste Spirito santo e ha ornato la propria anima con opere buone, tanto più anche il suo corpo diverrà degno di essere conglorificato in quel giorno. Infatti, allora uscirà fuori dal tesoro interiore ciò che uno ora vi ha riposto, al modo che in primavera esce il frutto che nell’inverno sta dentro gli alberi. Nei santi l’immagine divina dello Spirito, fin da ora come impressa nell’intimo, renderà divino e celeste anche il corpo all’esterno; ma negli empi e peccatori, ahimé, il velo senza luce dello spirito del mondo, che circonda l’anima e rende tenebroso e deforme l’intelletto per l’orrido aspetto delle passioni, mostrerà all’esterno, tenebroso e pieno di ogni vergogna, insieme con l’anima anche il corpo.
Dalla “Lettera d’oro” di Guglielmo di san Teodorico. Nn.293-295. Sansoni, pp.255-257. Dio
bisogna crederlo e, nella misura in cui lo Spirito Santo venga in aiuto
della nostra debolezza, pensarlo come una vita eterna, viva e vivificante,
immutabile, movente immutabilmente tutti gli esseri mutevoli;
intelligente, creatrice di ogni intelligenza e di ogni essere
intelligente; la sapienza che fa sapiente; la verità fissa, sussistente,
inflessibile, da cui deriva tutto ciò che è vero; in cui, dall’eternità,
sono le cause di tutte le cose che procedono nel tempo. La
vita di Dio è la stessa essenza, la stessa natura e vita, è lui vivente
per sé stesso, una vita che è divinità, eternità, grandezza, bontà;
è virtù che ha in sé stessa la sua esistenza e la sua sussistenza. La
vita divina va oltre ogni luogo, in virtù della sua natura non
localizzabile e, nella sua eternità, va oltre tutto il tempo che o il
pensiero o la congettura possono racchiudere. Dio è una vita la cui realtà
ed eccellenza superano di molto tutto ciò che sarà mai dato a qualsiasi
facoltà sensibile di sentire; tuttavia si raggiunge tale essenza più
sicuramente con il senso dell’amore umile e illuminato che con
qualsivoglia riflessione della mente; è sempre migliore di quanto non la
si pensi; meglio la si pensa tuttavia di quanto non la si esprima. In
Dio il nostro essere non muore, il nostro intelletto non erra, il nostro
amore non viene leso; egli sempre viene cercato perché con più dolcezza
lo si trovi; con tanta dolcezza viene trovato perché lo si ricerchi con
più diligenza.
Dal “Commento al salmo 90” di san Bernardo. Serm.17,4.6. PL 183,252-253.
L’Emmanuele,
il Dio con noi, è sceso per essere vicino a chi ha il cuore angosciato,
per star con noi nell’angustia. Verrà il giorno in cui saremo rapiti
tra le nubi, per andare incontro al Signore, nell’aria, e così saremo
sempre con il Signore (1Ts 4,17), purché adesso ci preoccupiamo di
averlo con noi come compagno di strada, lui che ci restituirà la patria
celeste; o piuttosto come via, lui che allora sarà la patria stessa. Perché
abbiamo paura, perché esitiamo, perché cerchiamo di sfuggire a questo
crogiolo? E’ vero, il fuoco infuria; ma il Signore è con noi
nell’angustia . Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? (Rm 8,3)
E se è lui che ci libera, chi ci rapirà dalla sua mano? Chi potrà
strapparci dalla sua mano? Infine, se è lui che ci dà gloria, chi potrà
gettarci nell’ignominia? Se lui ci stabilisce nella gloria, chi ci
umilierà? Lo sazierò di lunghi giorni (Sal 90,16). E’ come se, più chiaramente, dicesse: So quello che desidera, so quello di cui ha sete e quello che gli piace di più. No, egli non gusta né argento, né oro, né i piaceri, né la curiosità o gli onori mondani. Tutto ciò è per lui una perdita: egli disprezza queste cose e le considera come spazzatura. Si è svuotato di sé stesso sino in fondo e non sopporta di prestare attenzione a qualcosa che non può colmarlo. Sa bene a immagine di chi fu creato, di quale grandezza è capace, e non tollera di accrescersi con cose meschine per poi perdere il bene supremo. Lo sazierò di lunghi giorni: sì, ma soddisfo solo chi non può essere appagato se non dalla luce vera, chi sa essere colmato soltanto dalla luce eterna. E quella lunghezza di giorni non avrà termine, quella chiarezza non conoscerà tramonto, quella sazietà non provocherà disgusto. |
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