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Letture della preghiera notturna dei certosini

   Anno C

 

Tempo Ordinario

 

Ventottesima  Domenica

 

 

VANGELO (Mt 18,21-35)

Se non perdonerete di cuore al vostro fratello, il Padre non vi perdonerà.

 

 

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?”. E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.

A questo proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.

Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.

Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello”.

 

Perdono dei peccati

 

 

Il ricordo delle offese è veleno per il cuore (289) e il monaco deve ingaggiare nel segreto la dura lotta necessaria per liberarsene (290, 291).

Calunniato o insultato il cristiano non deve reagire, ma appellarsi a Dio nell’intimo del cuore (292), pregarlo con le parole che il Signore stesso ci ha insegnato (293).

Per toccare le vette della carità, occorre fissare gli occhi della mente sulla serena pazienza di Gesù Salvatore (294).

 

289

Lunedì

 

Dalla “Scala dei paradiso” di san Giovanni Climaco.

9° grado, 2.4.16.11.17-19. Op.cit.pp.135-137.

 

Il ricordo delle offese è rimasuglio di collera, covo di peccato, odio della giustizia, rovina della virtù, veleno del cuore, tarlo della mente, ripugnanza per il raccoglimento, paralisi della preghiera, allonta namentodall’amore, chiodo confitto nel cuore. Chi ha placato l’ira, ha già soppresso il ricordo delle offese, mentre finché vive la madre resiste il figlio.

E per placare l’ira è necessario l’amore. Alcuni, per ottenere il perdono da Dio, hanno faticato e tribolato a lungo. Fa molto prima colui che dimentica le offese, poiché dice il Signore: Perdonate subito e sarete perdonati in larga misura! (cf Lc 6,37s.) Ma se ti capita che, dopo molte lotte, sei ancora incapace di estrarre codesta spina, pròstrati davanti al tuo nemico, anche magari solo a parole. Forse in seguito avrai vergogna della tua lunga ipocrisia verso di lui, e sarai capace, stimolato dal bruciore della coscienza, di amarlo con carità perfetta.

L’oblio delle offese e dei torti subiti da parte degli altri, è segno di sincero pentimento. Chi ne conserva il ricordo crede d’essersi pentito, ma è simile a chi corre in sogno. Ho visto uomini pieni di risentimento esortare gli altri a dimenticare le offese; capitò che confusi dai loro stessi discorsi, si liberassero dalle passioni.

Nessuno reputi un difettuccio trascurabile questo ottenebramento che spesso grava persino sugli occhi di uomini cosiddetti spirituali.

 

290

Martedì

 

Dai “Discorsi” di Isaia abate.

Logos 18,11-12.Op.cit.p.154s.

 

Il perdono che aneli da Dio, dallo tu per primo e sarai liberato nella misura in cui sarai riuscito a praticarlo con i fratelli. Se purifichi il cuore nei riguardi di ogni creatura per non conservare traccia di rancore verso alcuno, veglia però - Dio è esattezza - che ciò non sia soltanto a parole, soffio verbale. Ogni uomo si incatena da sé per la geenna, oppure si slega da sé, dato che non esiste nulla più inflessibile della volontà, sia che essa si protenda verso la morte oppure verso la vita. Beati perciò quelli che amano la vita eterna, perché non inciamperanno nel vuoto.

Esiste dunque un combattimento del cuore nella fatica e nei sudori, condotto in segreto, contro il pensiero che ti sfinisce per non lasciare che la sua freccia ti ferisca dentro; e ti sarà penoso guarirlo se appunto non hai sempre presenti davanti a te i  tuoi peccati. Se vieni a sapere che uno ti ha colpito con qualche mezzo, opponi la tua buona volontà per non rendergli male per male in cuor tuo, né biasimarlo o giudicarlo o anche calunniarlo esponendolo alle critiche altrui.

Quindi: se il cuore ti si intenerisce e tu ti guardi dai cattivi pensieri, riceverai da Dio misericordia; ma se il tuo cuore si indurisce contro il prossimo, Dio non si ricorderà di te.

 

291

Mercoledì

 

Dalla “Vita” di Teodoro di Tabennesi.

Les moines d’Orient,t.IV,2. A.J. FESTUGIERE,Cerf,1965,pp.238s.

 

Quando uno vuole purificarsi da qualche vizio, per esempio dall’ira, se ha subito un oltraggio bisognerà che una prima volta dica a sé stesso: Ecco, oggi ho guadagnato un soldino d’oro. E qualora una seconda violenza lo aggredisca, se non reputa di aver acquistato un secondo guadagno simile al primo e così di seguito, fino a un gruzzolo di monete d’oro, non potrà evitare di montar in collera. Se infatti quando è ingiuriato la prima volta, lo tollera forzatamente, che farà al secondo oltraggio e via dicendo, se le ingiurie si fanno frequenti?

Ma i comandamenti di Dio sono davvero zecchini d’oro e pietre preziose, più dolci del miele e del favo, come sta scritto (cf Sal 18,11). Invece noi lo ignoriamo e non entriamo in questa linea di sentimenti, a causa dei nostri pensieri secondo la carne.

Chi ha mai detto ad un tale che gli abbia dato un pane bianco: Per stavolta vada, ma se continui a darmene, ti strappo la pupilla degli occhi? Non si mostra invece pieno di affetto verso il donatore, anche se costui non vuole tali dimostrazioni? Son fatti così gli uomini di Dio: non solo sopportano chi li perseguita e fa loro del male, ma pregano persino per lui, secondo il precetto del Salvatore, da cui erediteranno la moneta d’oro, secondo la promessa della Scrittura: Eredi di Dio, coeredi di Cristo (Rm 8,17).

Uomo, che cosa hai fatto per meritare di essere l’erede di Dio? Forse che per causa sua fosti perseguitato o ti hanno condannato a morte? Eppure grande è la bontà di Dio. Egli assomiglia ad uno che ci dica: Datemi tutto quello che avete in casa vostra in materia di vasi di terracotta e io li infrangerò; in cambio riceverete vasi d’oro e di metalli preziosi.

 

292

Giovedi

 

Dalle “Centurie sulla carità” di san Massimo il confessore.

IV Cent.,83.88.89.28. FG 3°,109s.101.

 

Un tale ti ha calunniato? Non detestarlo. Se detesti il calunniatore, detesti un uomo e quindi vìoli il comandamento dell’amore; il male ch’egli ha fatto con la lingua, tu lo fai con l’azione. Se invece osservi i comandamenti, lo aiuti più che puoi a liberarsi da questo male.

Nulla fa soffrire quanto l’essere calunniati nella fede o nel comportamento. Impossibile restare indifferenti, se non si è come la casta Susanna, la quale volse lo sguardo a Dio, l’unico capace di liberarci dalla diffamazione, di mostrare agli altri la nostra innocenza e di confortare l’anima con la speranza.

Quanto più preghi con tutto il cuore per colui che ti ha denigrato, tanto più facilmente Dio rivela la verità a quanti la calunnia scandalizzò. Ma tu, a tua volta, sta’ bene attento a non compromettere la buona reputazione di un fratello, lasciando scivolare nel discorso qualche frase graffiante nei suoi confronti. La causa non può non essere che un rancore inconscio ma tenace verso di lui. Quel fratello, elogialo pubblicamente; e con sincerità prega per lui come per te stesso: dopo pochissimo sarai libero da questa avversione.

 

293

Venerdì

 

Dalle “Conferenze” di san Giovanni Cassiano.

Conf. IX,22. S Ch 54,59ss.

 

Rimetti a noi i nostri dèbiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6,12). In questa domanda il Signore non ci ha dato solo un modello di preghiera e una regola di comportamento a lui accetto: non solo attraverso la formula con cui vuole essere continuamente pregato ci strappa dal cuore le radici dell’ira e della tristezza: egli offre un’occasione, apre una via a fare su di noi un giudizio misericordioso. Dio ci dà in certo modo la possibilità di mitigare la sua sentenza, obbligandolo al perdono con l’esempio pratico della nostra indulgenza. Gli diciamo infatti: Perdona a noi, come noi perdoniamo agli altri. Basandosi fiducioso su questa preghiera, domanderà perdono con la certezza di essere esaudito chiunque si sarà dimostrato remissivo verso i suoi debitori.

Nota bene: verso i tuoi debitori e non quelli di Dio. Infatti molti di noi sono soliti dimostrarsi teneri ed indulgenti quando si tratta di offese fatte a Dio, anche se gravissime; ma quando le offese toccano noi, allora vogliamo la riparazione con severità in flessibile. E’ certo però che chiunque non avrà perdonato dal fondo del cuore le offese ricevute dal fratello, recitando la domanda del Padre nostro, attirerà su di sé la condanna e non il perdono.

Chiederà un giudizio più severo, proprio perché dirà: Perdonami, Signore, come ho perdonato io.

 

294

Sabato

 

Da “Lo specchio di carità” di Elredo di Rievaulx.

Lib.III,cap.5. CCC Med. I,112-113.

 

Nulla ci spinge all’amore dei nemici in cui consiste la perfezione della carità fraterna tanto quanto il considerare con gratitudine la mirabile pazienza del più bello tra i figli dell’uomo (Sal 44,3). Cristo ha porto il suo bel volto agli empi, perché glielo coprissero di sputi. Ha loro permesso di mettere una benda su quegli occhi che governano l’universo con un solo cenno. Ha esposto il proprio corpo alla sferza. Ha sottomesso alla puntura delle spine il capo, davanti al quale devono tremare principi e potenti. Si è abbandonato agli obbrobri e alle ingiurie. Infine, ha sopportato con pazienza la croce, i chiodi, la lancia, il fiele, l’aceto, rimanendo in mezzo a tutto questo pieno di mansuetudine e di serenità. Fu condotto come una pecora al mattatoio, rimase in silenzio come fa un agnello con chi lo tosa e non aprì la sua bocca (cf Is 53,7).

Orgogliosa impazienza dell’uomo, osserva colui che ha sofferto tutto ciò e considera il modo in cui l’ha sopportato! Ci sarebbe più da meditare che da scrivere! Chi non sentirebbe cadereimmediatamente ogni collera alla vista di sì mirabile pazienza? Ascoltando questa espressione piena di dolcezza, di carità e di serenità imperturbabile: Padre, perdonali, (Lc 23,34) chi non abbraccerebbe immediatamente i suoi nemici con effusione? Che si potrebbe aggiungere alla dolcezza e alla carità di questa preghiera? Eppure il Signore aggiunse qualche altra cosa. Non fu pago di pregare, volle anche scusare: Padre, disse, perdonali, perché non sanno quello che fanno (Lc 23,34).

 

 

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