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Letture della preghiera notturna dei certosini

 Anno C

 

Tempo Ordinario

 

Ventesima Settimana

 

VANGELO (Lc 17,11-19)

Non si è trovato chi tornasse a rendere gloria a Dio all’infuori di questo straniero.

 

Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: “Gesù maestro, abbi pietà di noi!”. Appena li vide, Gesù disse: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. E mentre essi andavano, furono sanati.

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo.

Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. E gli disse: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”.

  Rendimento di grazie

L’azione di  grazie va messa all’inizio di ogni preghiera (241); a poco a poco essa diverrà la nostra preghiera ininterrotta (242). La gioia accompagna il ringraziamento (243), perché quando l’uomo avverte la presenza di Dio, converte la sua preghiera nella lode (244). Tuttavia, vi sono ostacoli precisi all’azione di grazie nella nostra vita (245), sebbene Cristo ci insegni quale è il vero rendimento di grazie (246).

241

Lunedì

 

Dalla “Scala del Paradiso” di san Giovanni Climaco.

28° Grado,6.31.7. Op.cit.,291.295.291.

 

Stare davanti a Dio è comune a tutti quelli che pregano; però la preghiera può assumere molte forme diversificate. Alcuni si rivolgono a Dio come ad un amico e maestro, gli offrono lodi e suppliche non per se stessi, ma per gli altri. Taluni chiedono che aumenti la ricchezza spirituale, la gloria e la fiducia di figli nel loro cuore. Altri supplicano di essere completamente liberati dall’avversario. Altri ancora invocano la grazia per qualche favore oppure di essere liberati da ogni affanno per le loro colpe.

Altri ancora chiedono la liberazione, o la remissione dei propri peccati.

Il nostro Dio, pieno di bontà e di sapienza, attira al suo amore le anime che sanno essere riconoscenti.

Egli le esaudisce in fretta. Invece le anime ingrate come cani, Dio le lascia intenzionalmente pregare più a lungo davanti a lui, in preda alla fame e alla sete di essere esaudite. Infatti un cane ingrato non ha ancora ottenuto il boccone che se ne va, abbandonando Il benefattore.

Sulla pergamena della nostra prehiera scriviamo anzitutto il rendimento di grazie; poi la confessione delle nostre mancanze con la contrizione del cuore profondamente vissuta e allora presentiamo al Re dell’universo la nostra domanda. Questo è il modo migliore di pregare.

 

242

Martedì

 

Dalla “Lettera d’oro” di Guglielmo di san Teodorico.

Nn 180-181. Sansoni,pp.183-185.

Il ringraziamento suppone avvertire e conoscere la grazia di Dio; è lo sforzo mai interrotto e inflessibile della volontà buona volta verso Dio, anche se talvolta o scompare o illanguidisce sia l’attività esterna, sia il sentimento interiore dell’anima. Questo è infatti ciò di cui l’apostolo dice: C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo (Rm 7,18). Come se dicesse: Il volere è presente sempre, ma è talvolta inerte; ossia inefficace; desidero compiere l’opera buona, ma non vi riesco. Questa è la carità che non viene mai meno.

Ecco la preghiera ininterrotta, o ringraziamento, di cui l’apostolo dice: Pregate incessantemente; in ogni cosa rendete grazie (1Ts 5,17-18). Poiché essa è, infatti, una inesauribile bontà del cuore e dell’anima ben disposta, e, di fronte a Dio Padre, tra i figli di Dio, come un assomigliarsi alla sua bontà, senza sosta in preghiera per tutti e con parole di grazie per ogni cosa. Necessità personali e proprie consolazioni, e anche sofferenze o gioie del prossimo. sono altrettante maniere, per un cuore pio, di rifluire senza fine in Dio, nella preghiera e nel ringraziamento. Una tale bontà è perennemente e tutta intera immersa nell’azione di grazie, poiché colui che la possiede è sempre nel gaudio dello Spirito Santo.

243

Mercoledì

 

Dai “Discorsi” di Pietro Damasceno.

Lib.2°,22° Disc. FG 3°,246-247.

Mi sono ricordato di Dio e ho gioito (Sal 76,4 LXX). Infatti l’intelletto è rallegrato dal ricordo di Dio, dimentica le tribolazioni del mondo e, a causa di questo ricordo, spera in Dio e diviene libero da preoccupazioni. La libertà da preoccupazioni riempie di gioia e induce al rendimento di grazie. Il rendimento di grazie fatto con riconoscenza aumenta i doni e i carismi. E quanto più abbondano i benefici, tanto più cresce il rendimento di grazie e la preghiera pura con lacrime di gioia. A poco a poco l’uomo esce dalle lacrime di tristezza e dalle passioni. Possa così giungere, in tutti i modi, alla gioia spirituale!

Un uomo così si umilia e per le cose piacevoli rende grazie, mentre con le tentazioni si consolida in lui la speranza nel secolo futuro. Per entrambe - gioie e prove - gioisce, ama Dio e tutti,secondo natura come benefattori e non trova in tutta la creazione nulla che possa fargli del male. Anzi, illuminato dalla conoscenza di Dio, trae gioia da tutte le creature, nel Signore, ammirato dalla cura che egli ha di tutti gli esseri. Poiché chi è giunto alla conoscenza spirituale, non ammira soltanto le cose visibili come degne di lode, ma resta attonito anche per la percezione ci quegli equilibri necessari che non appaiono a chi è senza esperienza. Non ammira soltanto il giorno a causa della sua luce, ma anche la notte.

244

Giovedì

 

Dai “Discorsi ascetici” di lsacco di Ninive.

Disc.21. Op.cit.,p.144.

 

Quando l’uomo avverte il soccorso di Dio, quando sente che l’Altissimo è accanto a lui e lo aiuta, immediatamente il cuore gli si riempie di fede e capisce allora che la preghiera è il rifugio sovrano, la fonte della salvezza. Egli fa l’esperienza come l’orazione sia il tesoro della fiducia, il porto al riparo dalla bufera, la luce di chi vaga nel buio, il sostegno di chi vacilla, l’aiuto più valido nella malattia, la corazza contro le frecce del nemico. In una parola: la somma dei beni entra in noi mediante la preghiera.

Si può allora parlare di delizie nella preghiera della fede. Il cuore esulta di fiducia. Non è più pago del calore di una volta, né del semplice linguaggio verbale. Ormai possiede la preghiera nel cuore, come un tesoro. E la sua gioia è talmente grande che la sua preghiera diventa rendimento di grazie. Infatti la preghiera è più che mai atta ad esprimere gioia, ringraziamento, riconoscenza.

Una tale preghiera è quella che si compie nella conoscenza di Dio, cioè è quella che viene da Dio. Infatti l’uomo prega ormai senza più alcuna difficoltà. Non forza nulla, come capitava prima che avesse percepito questa grazia. Ma nella gioia e nella stupefazione del cuore, attraverso ineffabili prosternazioni fa scaturire senza posa azioni di grazie. Portato così dalla conoscenza e stupito di fronte al dono divino, eleva la voce, loda e glorifica Dio, gli dice la propria gratitudine e parla al colmo dello stupore.

 

245

Venerdì

 

Dalla “Lettera” di Marco l’asceta al monaco Nicola.

FG l°, 225-227.

 

I tre forti giganti del maligno sono l’ignoranza, madre di tutti i mali, l’oblio suo fratello, complice e collaboratore, e la noncuranza che tesse per l’animo il cupo abito, il velo di nera nube; questa noncuranza sostiene e rafforza i due precedenti e produce nell’anima in preda alla negligenza un male profondamente radicato e persistente. Se vuoi riportare vittoria contro le suddette passioni, rientra in te stesso mediante la preghiera e immergendoti nelle profondità del cuore, rintraccia questi tre potenti giganti del diavolo: oblio, noncuranza e negligenza.

Nella forza dello Spirito Santo, con ogni preghiera e supplica, lotterai contro di essi. Pensando sempre, mediante l’ottimo ricordo di Dio, tutto ciò che è vero, giusto, casto, virtù e lode, scaccerai da te il pessimo oblio; mediante la coscienza illuminata e celeste fugherai la funesta ignoranza della tenebra. Bandirai mediante l’ottima prontezza adorna di ogni virtù, la noncuranza atea che produce nell’anima il male profondamente radicato. Quando si cerca di far sussistere nell’anima l’accordo fra conoscenza vera, ricordo delle parole di Dio e prontezza buona, in forza della grazia operante, e di custodirlo con cura, questo accordo cancella ogni traccia di oblio, ignoranza e noncuranza. Così la grazia regna ormai nell’anima che vive in Cristo Gesù

 

246

Sabato

 

Dal trattato “Il sacramento dell’altare” di Baldovino di Ford .

T. II, II, 1 . S Ch 93,153.

 

Cristo sapeva bene quale fosse la grazia del sacramento dell’eucaristia e quanti beni da essa ci sarebbero venuti; conoscendo anche lucidamente quanti mali egli avrebbe sofferto per noi, rese grazie al Padre per entrambi i motivi: per i beni che ci sarebbero stati concessi e per i mali che stava per patire.

Ambedue le realtà ci giovano. Gesù, infatti, ci ama talmente che ringrazia per i nostri beni come fossero i suoi; certamente i nostri beni sono appunto i suoi doni. Però lui, che concede i doni, rende grazie come di solito lo fa chi li riceve.

Infatti quando noi riceviamo, considera di essere lui a riceverli, e quindi reputa dover essere lui a ringraziarne. Quando ci ricolma di un bene, è come se egli l’avesse ricevuto. L’amore profondo con cui ci unisce a sé stesso come sue membra, fa sì che riceve lui stesso in noi tutto quel che ci dà. Ecco perché rivolgendosi a colui che ha prodigato i doni agli uomini il Profeta esclama: Tu hai ricevuto i doni negli uomini! (Sal 67,19 – Volgata).

Cristo rende grazie per i nostri beni che sono i suoi doni, insegnandoci a ringraziare per i suoi doni che sono i nostri beni.

Egli sa intonare il rendimento di grazie per le sofferenze che gli causano i peccati altrui: ci insegna cosi a non mormorare in preda alle pene motivate dai nostri propri peccati. Cristo rende grazie per la salvezza del mondo che egli ha stabilito di concedere al genere umano, dando la sua carne come cibo e il suo sangue come bevanda per colmare di beni le nostre brame; consegna sé stesso per riscattare la nostra vita dalla morte.

 

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