Letture della preghiera notturna dei certosini |
Tempo Ordinario
Quindicesima Settimana
I
figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della
luce. In
quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “C’era un uomo ricco che
aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare
i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te?
Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere
amministratore. L’amministratore
disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie
l’amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io
che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato
dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. Chiamò
uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio
padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua
ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu
quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua
ricevuta e scrivi ottanta. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”. Ebbene,
io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché,
quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. Retto uso dei beni
Per il monaco il retto uso dei beni consiste nel far opera di discernimento (211, 212). L’ideale di non possedere nulla in vista della gioia eterna e definitiva (213) va di pari posso con la sobrietà monastica (214). Per finire, la misura di tutto è l’amore! (215,216).
211 Lunedì
Dai “Discorsi” di san Bernardo. Sermo 88 De diversis, 1.2 PL 183,706-707.
Vi
sono due differenti operazioni dello Spirito Santo: quella ch’egli
produce in noi per il nostro bene, e quella che ci comunica in vista del
prossimo. Tuttavia,
due grossi pericoli si annidano in queste operazioni: non vanno condivise
col prossimo quelle che ci sono date per il nostro profitto e non ci
riserveremo in modo esclusivo quelle che riceviamo per il vantaggio
altrui. Se infatti serbiamo soltanto per noi quel che ci fu dato per
l’utilità degli altri, manchiamo di carità; con ragione ci potranno
dire: Sapienza nascosta e tesoro invisibile: a che servono l’una e
l’altro? (Sir 20,30). E se vogliamo che i doni di Dio ricevuti
segretamente, diventino noti, invece di starcene paghi perché siamo cari
a Dio nel segreto del cuore, perdiamo l’umiltà e avrà ragione a
rimproverarci chi ci dirà: Che cosa mai possiedi che tu non abbia
ricevuto? (1Cor 4,17). Quindi, siamo esposti per ogni versante a perdere
l’umiltà o la carità. Come
poi potremo salvarci senza tali virtù? Perciò ecco l’orientamento a
cui attenerci perché i doni dello Spirito Santo ci siano di vantaggio.
Anzitutto lavoriamo a nutrire in pieno il cuore di sentimenti di
compunzione e di altre virtù; poi, se per il favore dello Spirito,
riceviamo altri doni in abbondanza, per esempio sapienza o scienza, avremo
cura di comunicarli ai fratelli. Otterremo
allora dallo Spirito Santo il dono che viene detto discernimento degli
spiriti: esso consiste nel serbare per noi quanto ci conviene e nel
comunicare al prossimo quanto ci è dato per la sua utilità.
212 Martedì
Dalla “Lettera d’oro” di Guglielmo di S.Teodorico. Nn.83,84.87. Sansoni, 1983, pp.115-117. Tu domandi che cosa fare, di che occuparti? Anzitutto, senza parlare del tempo riservato al sacrificio quotidiano della preghiera o all’esercizio della lettura, non bisogna sottrarre all’esame, all’emendamento, al riequilibrio della coscienza la parte del giorno che loro spetta. Poi bisogna attendere al lavoro, anche a quello manuale che venisse prescritto, non tanto a causa della piacevole attenzione cui per un istante chiama lo spirito, quanto a causa del piacere che esso conserva e nutre per gli esercizi spirituali. Vi si abbandoni per un momento l’anima, senza rilassarsi: onde facilmente, non appena le sembri cosa opportuna ritornare a sé stessa, essa se ne liberi, senza contestazione da parte di una volontà troppo impegnata e senza il rischio di esserne contaminata per il piacere provato o per le immagini del ricordo. Comunque sia, l’anima seria e previdente, si adatta a qualsiasi occupazione e non vi si disperde, ma se ne vale per raccogliersi meglio in sé stessa. Avendo sempre di mira non tanto quello che fa, quanto l’intenzione che la fa agire, essa tende al fine di ogni perfezione. 213 Mercoledì
Dalla “Scala del paradiso” di Giovanni Climaco. 16° Grado,12-14.17-20. Op.cit.,pp.179.180.
Un
monaco che non possiede nulla, è padrone del mondo. Egli ha affidato a
Dio tutti i suoi crucci, e mediante la fede ha acquistato tutti gli uomini
per servi. Non parla agli altri delle sue necessità, e riceve tutto
quello che gli viene come dalla mano di Dio. Il
lavoratore spirituale che non ha possessi, è figlio del distacco e non
bada a quello di cui dispone, quasi ciò non esistesse. Quando si ritira
in solitudine, tutto gli è come fosse pattume. Però qualora si rattristi
perché manchi di questo o di quello, vuol dire che non è ancora senza
possesso. L’uomo che non ha possessi è puro durante la preghiera,
mentre l’amico del guadagno prega davanti alle immagini degli oggetti
materiali. Chi
ha pregustato le realtà dell’alto, sprezza facilmente quelle di quaggiù.
Ma chi non ne ha mai sentito il sapore, trova la gioia in quello che
possiede. Chi poi rinuncia ad accumulare beni, ma secondo una tattica
sragionevole, soffre doppio danno: non gode dei beni presenti e sarà
privato di quelli futuri. Non
darti l’aria, o monaco, di aver meno fede degli uccelli: quelli infatti
non si preoccupano di nulla e non ammassano mai. E’ grande colui che per amore rinuncia a quanto possiede, ma santo è chi rinnega la volontà propria; il primo riceverà il centuplo sia in denaro, sia in grazie, ma il secondo diventerà erede della vita eterna. 214 Giovedì
Dai “Detti” dei Padri del deserto. Nau 464 e 592,1-2. REGNAULT,pp.73.115.
Uno
dei santi ha detto: E’ impossibile all’uomo finché ha piacere per
questa vita, di sperimentare la dolcezza di Dio; e all’inverso, colui
che gusterà la dolcezza di Dio, odierà una volta per tutte i piaceri
terrestri. Sta scritto infatti nel vangelo: Nessuno può servire a due
padroni (Lc16,13). Occorre perciò che l’amante di Dio si schieri in
tutte le sue azioni dalla parte di Cristo. Un fratello domandò: Che cosa vuol dire questa parola, Padre? L’anziano rispose: Vuoi sapere come ci si debba mettere dalla parte di Cristo in ogni cosa? Sta’ a sentire: quando ti tocca pane bianco, lascialo ad un altro e tu mangia quello nero per Cristo. Se quando sei coricato, hai freddo, sopportalo, dicendo: Altri non si coricano del tutto. Se vieni insultato, resta zitto, dicendoti: Per Cristo, perché lui pure ha subito ingiurie per noi. In una parola: in ciascuna delle tue azioni, metti un po’ di sofferenza, sia per mangiare, sia per dormire, sia per lavorare. Vivi sempre con umiltà pensando al modo con cui vissero i santi, perché l’ora della morte ci trovi nella fatica e nella penitenza: attraverso tali mezzi speriamo di ottenere la quiete eterna. 215 Venerdì
Dalle “Catechesi” di Simeone il nuovo teologo. Catech.IX,S Ch104,pp.115-117. Per
te Dio è diventato uomo, e povero. Anche tu devi divenire povero a tua
volta come lui, tu che in lui credi. Povero è Dio secondo l’umanità,
povero sei anche tu secondo la divinità. Vedi un po’ ora come tu lo nutrirai, osserva da vicino. Egli si e impoverito, perché tu t’arricchissi, e potessi aver parte ai tesori della sua grazia. Per questo ha assunto una carne, perché tu fossi partecipe della sua divinità. Perciò quando disponi te stesso in vista di accoglierlo, si dice che egli sarà accolto da te. Quando a causa di ‘lui patisci la fame e la sete, ciò vale per lui come cibo e bevanda. Mi domandi come questo sia possibile? Perché con tali opere e azioni, e altre simili, purifichi il tuo cuore e ti sleghi dai ceppi delle passioni e dall’inedia; e colui che così ti raccoglie, applicando a sé tutto quello che ti riguarda, il Dio che desidera renderti dio così come lui si è fatto uomo, tutto quel che tu fai per lui, lo conta come fatto a sé e ti dice: ‘Ciò che fai a questa piccolina che è la tua anima, tu lo fai a me.’ Dimmi dunque: per che tipo di opere coloro che vissero nelle caverne e negli anfratti dei monti piacquero a Dio? Sicuramente soltanto per la carità, la penitenza e la fede; abbandonando il mondo intero per seguire lui solo, attraverso la penitenza e le lagrime l’hanno accolto e ospitato, hanno saputo nutrire la sua fame e spegnere la sua sete. 216 Sabato
Dalla “Lettera sulla discrezione” di un anonimo inglese dei sec. 14°. La vie spirituelle,nov.1925,236-238. Il
silenzio o la conversazione, il digiuno o il cibarsi, la solitudine o il
vivere con gli altri, non sono di per sé il nostro vero fine. Per taluni
sono mezzi per conseguire il vero fine, purché siano impiegati bene e con
discrezione; altrimenti sono ostacoli più che aiuti. Quando
ti si presentano due possibili opposte azioni, prendile una in ciascuna
mano e scegli quella più nascosta; quindi potrai farla o no, a tua
gradimento e con piena libertà di spirito, senza nessun senso dà colpa. Mi
domanderai che si cela in tutto questo. Ti risponderò: Dio, Dio per il
quale devi tacere - se occorre restar in silenzio- e per il quale devi
parlare, se così conviene: Dio per cui devi digiunare o no, vivere in
società o solitario, secondo il caso. Il
silenzio non è Dio, la parola non è Dio, e così pure le pratiche
opposte. Dio è in esse nascosto, e non può essere scoperto da nessuna
operazione dell’anima se non mediante l’amore del tuo cuore.
L’intelligenza non può conoscerlo né il pensiero trovarlo; non può
raggiungerlo il ragionamento, ma può essere amato e scelto con la sincera
volontà amante del cuore. Sceglilo
e sarai silenzioso anche parlando; parlerai rimanendo zitto. E così via.
La scelta di Dio per mezzo dell’amore, realizzata mettendo da parte ogni
altra cosa, la ricerca di lui nella volontà sincera d’un cuore puro,
attraverso gli esercizi che si offrono alla nostra ricerca spirituale,
ecco il modo migliore per cercar Dio. Naturalmente
parlo di un’anima contemplativa. Poco importa se in tale ricerca essa
non vede nulla che possa essere percepito dall’occhio della ragione.
Basta che Dio sia quaggiù il tuo amore e la tua sola preoccupazione, la
scelta e il fine del cuore, anche se poi durante tutta la vita nulla vedi
con lo sguardo dell’intelletto.
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