III parte dell'esortazione pastorale del 4 marzo 2001 |
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IL IX CENTENARIO DELLA MORTE DI S. BRUNO Il 6 ottobre ricorre il IX Centenario della morte di
S. Bruno. Già fondatore della prima Certosa presso Grenoble in Francia, era
venuto in Calabria al seguito di Papa Urbano II. Il Santo Padre voleva nominarlo
Arcivescovo di Reggio, ma Bruno rifiutò, preferendo ritirarsi nella solitudine
dei boschi di Serra ove fondò la seconda Certosa. Dieci anni or sono ne
celebrammo l'evento con un "anno bruniano". E’ quanto intendiamo
fare ancora una volta a cominciare appunto dal 6 ottobre con un secondo
"anno bruniano", che sarà il prolungamento del Giubileo e, perché
no, anche del Congresso Eucaristico. Con la sua radicale scelta di vita, gioiosamente
vissuta fino all'incontro definitivo con suo Signore, S. Bruno ci ha offerto un
messaggio che va senz'altro considerato di impressionante attualità. Basta
pensare al fatto che, con la sua esperienza di vita più che con le parole, egli
ricorda a tutti noi una verità fondamentale: la creatura umana si realizza solo
in Dio. S. Bruno, però, ci dice di più: questo Dio è essenzialmente Bontà.
"O Bonitas!", soleva ripetere spesso durante le sue giornate. Da
questa certezza, o, per essere più precisi, dalla consapevolezza di questa
realtà (non si tratta di una verità astratta!) occorre assolutamente partire
se si vuole dare un senso alla vita. Il Signore ci vuole bene. Ci ama ad uno ad
uno: così come siamo, nella situazione concreta in cui ci troviamo, disponendo
tutto e sempre per il nostro bene. Era lo stesso S. Bruno che confessava di aver appreso
questa "divina filosofia", questo segreto per vivere nella gioia, alla
"scuola del Verbo Incarnato". Rimango sempre colpito da quanto ha
scritto di lui un biografo: Nudum secutus
Christum. Gesù Cristo e basta! Di Gesù Cristo fu davvero innamorato,
vivendo ogni istante con Lui e come Lui nella contemplazione del volto del Padre
e, in concreto, facendo di tutta la sua vita un'offerta. Santità
feriale
Così S. Bruno si pone
dinnanzi a noi come un grande maestro di santità. E proprio di quella santità
cui tutti siamo chiamati. Ho letto oggi sul quotidiano d'ispirazione cristiana
il titolo di un articolo, evidentemente giornalistico, che mi è davvero
piaciuto: “La santità scende dal piedistallo". E difatti per essere
santi non occorre fare cose straordinarie, e nemmeno cercare di evadere dallo
stato di vita in cui il Signore ci ha posti. La santità è, in fondo, Gesù
Cristo. Essere santi, pertanto, significa lasciarsi afferrare totalmente da Lui,
per vivere come Lui, e perciò per fare sempre, per amore, al servizio dei
fratelli, ciò che il Padre ci chiede "nelle condizioni più ordinarie
della vita" (NMI, n. 31). Si tratta di dire sì con tutto il nostro
essere a Colui che ci ama e ci è sempre presente. E’ questa la sostanza della
contemplazione. E’ questa la santità. La santità nascosta silenziosa, che io
tante volte chiamo santità feriale:
quella che piace davvero al Signore e che può cambiare il mondo. Già
nella preparazione all'Anno Santo, il Papa si auspicava che venisse suscitato un
grande anelito di santità. Ma sulla santità ha insistito molto nella Lettera
per il dopo giubileo arrivando a dire che “additare la santità resta più che
mai un'urgenza della pastorale" (NMI, n. 30) . Ha sottolineato tra
l'altro che i percorsi sono ovviamente individuali nel senso che ognuno ha la
sua strada, ma si tratta, in ogni ipotesi, di percorsi su cui occorre muoversi
con immensa fiducia nella potenza dello Spirito del Signore Risorto. Il Papa ha
parlato per tutti di "(misura alta) della vita cristiana ordinaria” (NMI,
n. 31). E’
proprio dalla spiritualità di S. Bruno che noi possiamo apprendere come
percorrere la via della santità. Occorre, perciò, far tesoro della presenza
dei certosini, tornati in mezzo a noi alla fine del XIX secolo. Mi capita spesso
di ripetere che la Certosa è il nostro "fiore all'occhiello".
Continueremo a circondarla di immenso amore. Ora è completamente restaurata. Ma
quel che più conta è il fatto che la comunità certosina sta sempre più
rifiorendo. Aumentano le vocazioni da tante parti del mondo. Fa immenso piacere
che ci siano anche calabresi. Sia continuamente benedetto il Signore che anche
oggi, nell'interesse dell'intera società, concede ad alcuni nostri fratelli la
grazia di dire sì ad una vocazione che è di donazione davvero totale.
Questione di amore
Chiedevo
un giorno al Priore per quale motivo fosse diventato sempre più difficile anche
per i presbiteri entrare in Certosa. Diede una risposta molto chiara: "noi
certosini siamo chiamati ad offrire alla Chiesa la testimonianza della preghiera
e del silenzio". Aveva ragione: per essere santi c'è per tutti bisogno di
preghiera e di silenzio. Certo,
i certosini ci ricordano con la loro vocazione di consacrazione davvero speciale
che il Regno di Dio è già in mezzo a noi nella Persona di Gesù Cristo, venuto
per rivelarci soprattutto con la croce il volto di Dio Padre. Sono testimoni
dell'Assoluto. Ci dicono che Dio va messo al primo posto. Ma è appunto la
preghiera il segno del primato di
Dio. E’ con la preghiera che noi dimostriamo concretamente di aver capito che
solo in Gesù Cristo ci è dato di realizzare il nostro progetto di vita. Che
pagine belle ci ha dato il Papa sulla preghiera! Leggiamole e rileggiamole.
Scopriremo sempre di più che la preghiera è una questione di amore. Non conta
nella preghiera ciò che riusciamo a sentire o a dire, ma ciò che riusciamo a
dare. E per questo che bisogna essere fedeli anche quando non si ha voglia.
Anche allora possiamo dare e, forse, dare di più. Si dirà pure che quel che
conta è lo spirito di preghiera, nel senso che anche le occupazioni più comuni
devono diventare preghiera, compiendole per il Signore: ciò, però, sarà
possibile solo se saremo fedeli alla preghiera intesa come tempo dato
esclusivamente al Signore. Di tanto deve ricordarsi soprattutto chi, come un
vescovo, rischia di essere travolto dalle molte occupazioni: e, perciò, fedeltà
assoluta agli impegni di preghiera! Essa è "condizione di ogni autentica
vita pastorale" (NMI, n. 32). Nella
sua Lettera il Santo Padre ci rimanda a quella maestra di preghiera che è stata
S. Teresa di Gesù, come peraltro lo è stata l'altra Teresa, quella di Lisieux.
E proprio alla loro scuola che noi possiamo imparare che la preghiera è in
fondo un rapporto di amicizia con Colui dal quale ci sentiamo infinitamente
amati. E’ significativo che il Santo Padre ci abbia parlato di pedagogia
della santità ed abbia aggiunto che 'Vè bisogno di un cristianesimo che si
distingua innanzitutto nell'arte della
preghiera”
(Ibidem). E, dal momento che la preghiera non va data per
scontata", ci ha dato al riguardo una regola davvero aurea: è
pregando che noi impariamo a pregare. Ma
il Papa ci ha dato altre indicazioni davvero stimolanti: ha affermato che le
nostre comunità cristiane - e io vorrei dire in particolar modo le comunità
religiose - devono diventare autentiche scuole
di preghiera (NMI, n.
33) e ha sottolineato che l'educazione
alla preghiera
"deve diventare un punto qualificante di ogni programmazione
pastorale” (NMI, n. 34)
Spazi di silenzio
Fu chiesto ad un maestro di
spirito: "Parlaci della preghiera". Ed il maestro rispose: “La
dottrina della preghiera si compone di dieci capitoli: parlare poco è
l'argomento del primo. Tacere è quello degli altri nove". E’
una bella lezione: valida per ogni tempo, necessaria soprattutto oggi. Nel ritmo
vorticoso della vita moderna, fra tanti rumori assordanti e messaggi alienanti,
è per tutti necessario crearsi ogni giorno momenti di silenzio. Ed è
necessario conquistarci "spazi di deserto" che abbiano una loro
regolarità. Il
deserto è il luogo della prova, ma anche il luogo dell'alleanza, dell'amore,
dell'intimità. Scriveva S. Bruno: "Quanta utilità e gioia divina rechi la
solitudine e il silenzio dell'eremo a coloro che li amano, lo sanno solamente
quelli che ne hanno fatto esperienza. Qui, infatti, agli uomini forti è
consentito raccogliersi quanto desiderano e restare con se stessi, coltivare
assiduamente i germogli delle virtù e nutrirsi, felicemente, dei frutti del
paradiso. Qui si conquista quell'occhio il cui sereno sguardo ferisce d'amore lo
Sposo, e per mezzo della cui trasparenza e purezza si vede Dio. Qui si pratica
un ozio laborioso e si riposa in un'azione quieta. Qui, per la fatica del
combattimento, Dio dona ai suoi atleti la ricompensa desiderata, cioè la
pace che
il mondo ignora, e la gioia nello Spirito
Santo" (Lettera
a Rodolfo, in G. Gioia, La divina
filosofia, Edizioni San Paolo, p.
107). Intanto,
proprio nel clima di S. Bruno, sapremo rinnovare il proposito - e non vale solo
per i consacrati - di essere fedeli ai ritiri
mensili. Ma sapremo, in particolar modo, valorizzare gli esercizi spirituali. Certo, quelli tradizionali: vanno fatti ogni anno, anche per
evitare il rischio di uno sterile attivismo. Il Presidente della Federazione
Italiana Esercizi Spirituali (Fies) ha detto di recente che essi sono in qualche
modo dei 'piccoli giubilei': sono un momento straordinario. Ma devono portare ad
una revisione di vita che ci riconsegni rinnovati alla quotidianità` (G.
Bernardelli, Di nuovo in viaggio, dall’oasi del silenzio, in
“Avvenire”, 23 febbraio 2001). E’
significativo che dopo il "Carmelo" proprio quest'anno saranno
attivate le altre due case di spiritualità della diocesi: 'Villa Bonitas"
a Serra San Bruno e 'Villa Nazareth" a Stalettì. Ne sapremo certamente
usufruire. Bisogna
comunque inventare altre modalità di esercizi spirituali, anche perché possano
farne tesoro quanti, per motivi familiari o lavorativi, non possono allontanarsi
dal loro ambiente per più giorni. E’ stata sperimentata in qualche diocesi la
formula che sta riscuotendo un favore sempre crescente: quella degli
"Esercizi spirituali nella vita ordinaria" (Evo). E’ un'esperienza
che vuole, tra l'altro, aiutare a ridurre la sempre possibile dissociazione
tra fede e vita. Cercheremo di conoscerla, questa esperienza, e di realizzarla
anche tra noi con la necessaria originalità. Intanto, moltiplicheremo e valorizzeremo le scuole di preghiera, di cui abbiamo già parlato: in esse l'incontro con Cristo deve esprimersi soprattutto, come dice il Papa, "in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti fino a un vero 'invaghimento' del cuore” (NMI, n. 31). Saranno così certamente un "rifornirnento di speranza" per la vita di ogni giorno.
+ Antonio Cantisani Arcivescovo
Metropolita di Catanzaro Squillace |