Paolo VI

Lettera Optimam partem (1)

1971

 

 

 

Giustamente s'afferma che hanno scelto la parte migliore coloro che, liberati dal flusso delle cose del mondo, servono Dio con una consacrazione totale nella solitudine del corpo e del cuore. Essi, infatti, spogliandosi di ciò che nel tumulto della folla rallenta l'animo nella contemplazione delle divine verità, possono vivere con più facilità quel1o che come S. Teodoro Studita ha splendidamente affermato, è il fine proprio del monaco: “Il monaco è colui che fissa lo sguardo su Dio solo, desidera ardentemente Dio Solo, s'è consacrato a Dio solo e si sforza di rendergli un culto indiviso; è in pace con Dio e diventa fonte di pace per gli altri" (2).

È questa, senza dubbio, una singolare forma di vita, con la quale viene in qualche modo anticipato qui in terra il modo di vivere degli abitanti della Gerusalemme celeste. Di conseguenza, a coloro che vivono questa vocazione solitaria si può applicare particolarmente ciò che sant'Agostino ebbe a dire di coloro che vivono nella continenza: "Quanto siete migliori voi che iniziate prima della morte a essere ciò che gli uomini saranno dopo la resurrezione!" (3).

Tuttavia gli eremiti non devono essere considerati estranei al corpo della Chiesa e alla comunità umana; infatti, come chiaramente ha affermato il Concilio Vaticano II: "La vita contemplativa è necessaria alla piena presenza della Chiesa" (4), e i contemplativi "spronano con 1'esempio il popolo di Dio e l'incrementano con una misteriosa fecondità apostolica" (5).

L'Ordine certosino, con rara fedeltà, ha conservato nella sua purezza e integralmente questa vita segregata dal mondo e unita a Dio, ricevuta come un'eredità dai suoi padri; e ciò torna a sua non piccola lode e onore. È dunque interesse di tutta la Chiesa che esso continui a fiorire, ossia che i suoi membri, volendo dare a Dio la gloria che gli è dovuta, spendano incessantemente tutte le loro forze nell'adorazione di Lui.

Con questo culto sincero e indiviso l'Ordine certosino non solo reca un grande e sicuro vantaggio al popolo di Dio, ma offre anche un non piccolo aiuto a tutti gli uomini, a tutti coloro che cercano la via della vita e hanno bisogno della grazia divina; la contemplazione e la preghiera incessante devono essere stimate come un servizio e un dono di primissima importanza che giova al mondo intero (6).

Questo intenso sguardo interiore che, per quanto lo permette la condizione umana, è rivolto a Dio senza interruzione nel modo più immediato, unisce in maniera unica gli stessi monaci con la beata Vergine Maria, che essi sono soliti chiamare madre singolare dei certosini.

È bene, dunque, che noi testimoniamo il nostro paterno e particolare affetto e la nostra grande stima a quest'Ordine. Esso, come è stato portato a nostra conoscenza, celebrerà fra breve uno speciale Capitolo Generale, che nelle presenti circostanze sarà di non poca importanza, poiché si tratta di rivedere gli Statuti dell'Ordine. Ci sentiamo perciò spinti a dirvi, per mezzo di questa lettera, ciò che la Chiesa attende dai certosini, e che riteniamo sarà utile per ben orientare il lavoro al quale si dedicherà il prossimo Capitolo.

Il vostro Ordine, come è noto, comprende monaci obbligati a1 coro e fratelli conversi e donati uniti da stretti legami di fraternità, da rispetto reciproco e dal comune proposito di servire Dio e di unirsi a Lui. Dunque nei vostri Statuti, a cui state per mettere mano, deve essere espresso più chiaramente che tutti sono partecipi dell'unico e medesimo patrimonio spirituale, in quanto la vocazione monastica può essere vissuta con pienezza sia dai sacerdoti sia dai conversi e dai donati.

I monaci che sono obbligati al coro, nell'Ordine certosino quasi fin dalle sue origini, sono sacerdoti o religiosi che si preparano a ricevere gli ordini sacri. Oggi vi sono alcuni che ritengono non essere conveniente che i cenobiti o gli eremiti, i quali non eserciteranno mai il ministero sacramentale, siano rivestiti del sacerdozio. Però questa opinione, come abbiamo già detto altrove (7), è priva di un sicuro e stabile fondamento. Infatti molti santi e moltissimi religiosi unirono la professione di vita monastica, anche eremitica, con il sacerdozio, perché avevano ben chiara la perfetta armonia che intercorre fra le due consacrazioni: quel1a del presbitero e quella propria del monaco.

In realtà la solitudine, nella quale si è a totale disposizione di Dio solamente, l'assoluta spoliazione dei beni di questo mondo, il rinnegamento della propri a volontà, cose tutte nelle quali s'esercitano coloro che si sono rinchiusi tra le mura del monastero, preparano in modo del tutto unico l'animo del sacerdote a immolare con pietà e ardore il Sacrificio eucaristico, che è la fonte e il vertice della vita cristiana (8). Inoltre, quando al sacerdozio si unisce la piena donazione di sé, con la quale il religioso si consacra a Dio, egli viene configurato in modo particolare a Cristo, che è al tempo stesso Sacerdote e Vittima.

Il Concilio Vaticano II, parlando dei presbiteri e dei loro doveri , ha giustamente affermato che fa parte dei loro compiti la cura del popolo di Dio. Ma in realtà questa cura è da voi esercitata celebrando il Sacrificio eucaristico che siete soliti offrire quotidianamente. Questa celebrazione solitamente avviene nelle vostre cappelle eremitiche, cioè in piena solitudine, dove l'animo del monaco, fissato nel mistero d’Amore, è investito più intensamente dallo Spirito di carità e di luce.

Pertanto, la vocazione certosina, purché ad essa s'aderisca in profondità, fa sì che l'intenzione universale che è indissolubilmente insita nel Sacrificio eucaristico, divenga l'intenzione di ogni monaco che celebra. Lo stesso Concilio Vaticano II ha proclamato con parole veramente significative questa pienezza della carità eucaristica: “Nel mistero del Sacrificio eucaristico, in cui i sacerdoti adempiono il loro compito principale, si esercita continuamente l’opera della nostra salvezza, per cui se ne raccomanda con forza l’offerta quotidiana, la quale è sempre un atto di Cristo e della Chiesa, anche quando non si può avere la presenza dei fedeli” (9)

Senza dubbio il vostro Capitolo Generale farà ogni sforzo perché sia religiosamente conservato lo spirito dei vostri fondatori, e continui piena di vigore 1'opera alla quale lungo i secoli vi siete consacrati, mossi dallo Spirito Santo, sotto la guida degli Statuti dell'Ordine. Guidati da questo proposito, riterrete opportuno esprimere alcuni punti delle vostre costituzioni in modo tale che risultino più chiari e si dirigano a chi legge in modo più immediato. Inoltre, tenendo giustamente conto della mentalità e delle condizioni di vita dovute all'odierno progresso, dovrete eliminare alcune cose che sono ormai sorpassate. Nello stesso tempo, però, ripristinate in modo conveniente alcune antiche consuetudini, qualora, per i cambiamenti che avessero subito, la loro efficacia fosse stata sminuita e offuscato il loro significato.

Questo riguarda particolarmente il vostro modo di celebrare la sacra liturgia. Seguendo, pertanto , le norme emanate in materia dalla Sede apostolica, voi cercate di rendere al rito della santa Messa la sua antica semplicità e nel medesimo tempo per quanto riguarda il ciclo liturgico, state cercando di ristabilire quell'ordinamento che dia più rilievo all'ordinario del “tempo”, così che anche il vostro lezionario si arricchisca.

È dunque con ragione che, ben disposti ad accogliere con attenzione i decreti della Sede apostolica, voi avete motivo di credere che essa vi si mostrerà favorevole anche in questo. Essa infatti non ignora che la liturgia dei monaci solitari deve essere adattata al loro genere di vita, deve essere tale cioè, che in essa abbiano prevalenza il culto interiore e la meditazione del mistero, che si nutre di una fede viva. Infatti gli eremiti, a differenza degli altri fedeli, prendono parte alle celebrazioni liturgiche soprattutto con la comunione dell'animo, la quale, benché la parte esteriore e visibile sia meno manifesta, comporta tuttavia una partecipazione reale e intensa. Per questo la vostra vocazione ha formato a poco a poco un rito particolare che voi vi sforzerete di salvaguardare, in quanto consono alla vostra vita contemplativa e solitaria. E da parte sua la Chiesa non disapprova un certo pluralismo in ciò che riguarda l'espressione del sentimento religioso e la manifestazione esterna dei culto divino, poiché a questa conducono i diversi modi di cercare Dio e d’adorarlo. Essa dunque favorisce le sane tradizioni monastiche le quali, custodite con amore, contribuiscono non poco ad accrescere la fede e il fervore spirituale da cui hanno tratto origine.

Questo volevamo scrivere, con animo pieno d'affetto, a te e a tutto l'Ordine certosino, a noi carissimo, alla vigilia dello speciale Capitolo Generale. Preghiamo intensamente il Padre della luce perché assista benevolo coloro che prenderanno parte a questo Capitolo, affinché esso contribuisca molto al progresso di codesta famig1ia religiosa e le sue deliberazioni siano accolte con impegno obbediente di pace.

Questi voti siano resi efficaci dalla benedizione apostolica che volentieri impartiamo a te, diletto figlio, e a tutti i monaci affidati alle tue cure.

 

Dato a Roma, presso S. Pietro, il giorno 18 aprile dell’anno 1972, ottavo del nostro pontificato

 

NOTE

(1) Lettera al ministro generale dell’Ordine per il Capitolo generale – AAS 63 (1971) pp. 447-450

(2) Parva catechesis, Ed. E. Auvray, Paris 1981, pp.141-142

(3) Sermo 132,3 - PL 38,736.

(4) Cfr. Ad gentes, 18; Venite seorsum, AAS LXI, 1969, p.680ss.

(5) Perfectae caritatis, 7.

(6) Cfr. Ad gentes, 40; Perfectae caritatis, 9

(7) Cfr. AAS LVIII, 1966, p.1181.

(8) Lumen gentium, 11.

(9) Presbyterorum ordinis, 13